Questo – vi avviso – è un articolo semiserio. Il suo oggetto, i nuovi culti profani, va avvicinato con un po’ di ironia, di autoironia e persino di un benefico sarcasmo. Non abbiatemene. Per quanto ci sembri di essere immuni da questi culti, tutti ne siamo affetti. Non mi tiro fuori.
Il nostro tempo ha sviluppato un humus particolarmente propizio per il proliferare di nuove credenze. La secolarizzazione ha limitato il raggio di incidenza del cristianesimo nella vita quotidiana degli individui e delle comunità, ma al tempo stesso – di fatto negando se stessa – ha favorito il diffondersi di religioni fai-da-te, su misura, che prosperano indipendentemente dal cristianesimo. Forzando il linguaggio, raccoglierò queste credenze in un’unica, vagamente provocatoria denominazione: teologie sostitutive. La guida spirituale del nostro caro Padre Gianni, così racconta, parlava di teologie del genitivo: un’espressione altrettanto efficace e condivisibile.
La teologia si occupa di Dio e dell’interpretazione dei suoi segni e della sua parola. Le teologie sostitutive provocano invece deificazioni coperte di un’impropria sacralità e tendono a sostituire, o ad affiancare in pasticciate convivenze, la fede in Dio con convincimenti alternativi, configurati in modo asistematico ma non senza apparati teorici, per quanto scarni e rudimentali, utili a giustificarli e ad orientare i «credenti».
Talora la dinamica di sostituzione è regressiva. Di qui la riesumazione sotto nuove vesti di antiche pratiche magiche, che non paiono poi così diverse dalle sopravvivenze di antiche superstizioni. Queste superstizioni generano come in passato formazioni nevrotiche di tipo ossessivo (i riti, i cerimoniali e le liturgie che scandiscono la vita quotidiana), ma vengono affidate al potere, onnicomprensivo e vuoto, di parole evocatrici – I Mercati!, Mission! (e altri anglicismi), Natura! Energia! Armonia!, Corpo!, Dieta!, Bellezza! Carpe diem!, Karma! Di che segno sei? Sinergia! Poesia!, Magia!, Creatività! Partecipazione! Onestà! Democrazia del web! Giustizia! (continuate pure a vostro piacere…) – e dei corrispettivi diabolici che denominano le nuove vesti del Maligno: Deficit spending, Tasse, Artificio (spaventevole è in particolare la parola chimica), Entropia, Mente, Lipidi, Sodio, Bruttezza, Poteri Forti, Tutti ladri!!! ecc. Ce n’è di compilare un dizionario dell’umana stupidità in versione contemporanea.
Altro culto corrente è il volontarismo portato all’estremo, meglio se circonfuso di altre credenze, quasi che – ad esempio – «il concentrarsi di tutto il pensiero positivo dell’universo»in una singola persona le consentisse di disporre di una volontà capace di superare ogni ostacolo. Bastano un Abracadabra!, un Vade retro! o lo sprigionarsi di una forza psichica titanica, ed è fatta: tutto, allora, può essere conseguito. «All’alba vincerò».
A propria volta, il volontarismo non è che la manifestazione esteriore di un culto non più inconfessabile ed anzi ampiamente sdoganato, quello dell’Ego: un dio mortale che non conosce misura. Un Ego senza Io: è questa una chiesa di cui siamo i soli oranti e i soli officianti, in tutti i ruoli possibili, dal fedele e dal seminarista fino al papa. La sacralizzazione dell’Ego manifesta l’Io solo in forme feticistiche. In mancanza di un’individualità conquistata con un duro lavoro su noi stessi, ci troviamo privi di riconoscibilità e dobbiamo cercare dei sostituti che parlino per noi. Ma come l’abito non fa il monaco, così un tatuaggio non fa un Io.
Nello stesso tempo, la povertà e l’infertilità dell’Io ci inducono spesso a uno stato di perenne affidamento: ci inchiniamo ciecamente al principio di autorità; ci abbandoniamo a forme esasperate di culto della personalità e dei suoi poteri carismatici equivalenti a veri e propri poteri magici; pensiamo e parliamo per bocca di altri. Nulla vieta di parlare di neosciamanesimo. È anche gratificante la sensazione di appartenere a una élite. Non importa che si tratti degli apocalittici Testimoni di Geova che nel luglio 1960 salirono alle pendici del Monte Bianco per sfuggire la fine del mondo, o dei membri della setta di Manson. Anche il male è un dio, un culto. Poveri resti di riti satanici furono ritrovati non molti anni fa nei boschi presso Somma Lombardo.
Le nuove divinità, più che provvidenziali, sono facilitatrici: per chi le idolatra semplificano la vita, generano il bene e schiudono le porte della Felicità, il vero e proprio Ente Supremo del nostro tempo. Le raffigurazioni degli dèi di questo nuovo paganesimo sono, in qualche caso, degli emotikon. Ci sono occorsi millenni per tradurre i simboli e le emozioni in linguaggio e in pochi anni abbiamo sostituito il linguaggio con simbolini che ci esonerano dai complicati processi di autenticazione dialogica della parola e dal comprovare le nostre emozioni «in presenza». Guardare in viso le persone è ormai psichicamente costoso e ci inquieta.
Il fenomeno non è propriamente originale. Semplicemente, nel nostro tempo ha assunto dimensioni di massa ed è venuto occupando sempre nuovi spazi e ambiti discorsivi. Nel loro carattere improprio e spurio, le teologie sostitutive si manifestano in chi le abbraccia e predica con un tono marcatamente integralista. Paradossalmente, questo fondamentalismo si evidenzia qualche decennio dopo che le confessioni cristiane si sono via via ammorbidite e corrette in senso liberale. Quasi che andasse colmato non già un vuoto religioso (la ricerca di Dio), bensì di credenze forti e pervasive, surrogati di Dio, anche se – rispetto alle religioni classiche – appaiono circoscritte a specifiche manifestazioni e non più estese a ogni scelta e ordinamento della vita comune e privata.
È dunque legittimo avvalersi di locuzioni, come «teologia negativa» o «teologia politica», che nulla hanno a che fare con il loro equivalente filosofico. Quando si parla filosoficamente di teologia negativa, come in riferimento al pensiero di Nicola Cusano, si intende quella concezione che pone uno scarto, approssimabile ma incolmabile, tra il nostro carattere di enti finiti e quell’Essere – Dio – che è al di là di ogni possibilità di affermare o negare qualcosa di lui. Quando si parla invece di teologia della politica, ci si riferisce a chi ha indagato (più di ogni altro Carl Schmitt) il rapporto tra sfera religiosa e sfera statuale, per lo più come reciproca legittimazione di entrambe per la loro specifica, ma integrata, relazione con il sacro: la sacralità di un potere che deriva da Dio e quella di un potere laico che si pone come un onnipotente e illimitato Dio terrestre che non abbisogna di altra giustificazione che se stesso.
Nell’accezione di questo articolo, siamo davanti a «teologie negative» poiché il fondamento del culto deriva da una contrapposizione, da un rifiuto, dalla negazione di altre teorie o credenze. L’esempio più pertinente delle teologie del rifiuto è l’ateismo: esso stesso religione giacché si costruisce come fede nella non esistenza di Dio e nel presunto valore liberatorio del ripudio di ogni religione positiva. Per proseguire con esempi meno impegnativi, la credenza nella nocività delle vaccinazioni, o il rifiuto aprioristico delle chemioterapie in nome di improbabili e ciarlatanesche «medicine alternative» (dalla «Cura Di Bella» all’«Aloe Vera»), altro non sono che teologie fondate sul radicale rifiuto della scienza, in contrasto con la fede assoluta nel potere della tecnica. Si assiste così a uno scontro tra due diverse teologie, quella del mito tecnocratico e quella del mito antitecnocratico, inteso non come legittima contestazione della mentalità strumentale, ma come rifiuto dei protocolli e dei metodi che controllano e sottopongono a verifica le ricadute operative delle teorie scientifiche, e delle figure professionali incaricate di elaborare e testare quei metodi e le loro ricadute.
Qualcosa di analogo vale per le «teologie della politica». Anziché convinzione laica utile a risolvere dei problemi comuni, la politica viene vissuta come una fede insondabile accompagnata da una miscredenza non meno radicale. E la sua religiosità rimonta al senso originario del termine, unire insieme, costruire una comunità di riconoscimento: la politica diviene appartenenza mediante opposizione. In questo somiglia alla versione deteriore del tifo calcistico. La ragione oggi mi dovrebbe indurre a preferire la Juventus, perché gioca bene e diverte, ma devo restare milanista, e dunque nemico giurato della Juve oltre che dell’Inter, perché così tantissimo tempo fa ha deciso il fato.
In conclusione, conviene parlare di un’originale compenetrazione tra ateismi e controteologie idolatriche. Ogni negazione di una qualche religione impropria del nostro tempo si configura in positivo con qualche simmetrico e speculare mito dell’Alternatività. Vi è un’affinità con le dinamiche primarie che hanno strutturato nei secoli il pensiero utopico: una visione apocalittica del presente e una visione palingenetica del futuro. Ma almeno le utopie hanno avuto, oltre ai noti effetti distopici, anche una loro fecondità. Dall’aloe vera, dal culto del Vaffa e dal Tutti ladri! non nasce niente, né mai nascerà. E se qualcosa proprio dovesse nascere, non sarà certo qualcosa di buono.
You must be logged in to post a comment Login