Ho avuto recentemente la possibilità di compiere un lungo viaggio negli USA, fuori dalle consuete mete turistiche, girando gli stati del “profondo Sud” e cercando di capire come gli americani affrontano una campagna elettorale importante come quella di novembre.
Se l’attenzione del mondo è infatti puntata sulle elezioni presidenziali, pochi sanno che negli USA vige un sistema di elezione diretta per tutte le cariche pubbliche. Non solo quindi per la scelta di Presidente e Congresso, governatori e parlamenti statali, sindaci e consiglieri comunali ma anche per gli incarichi di sceriffo, sovrintendente scolastico, capo dei pompieri cittadini e poi procuratori delle imposte, giudici di ogni ordine e grado, pubblici ministeri, difensori civici, commissioni fiscali, estimatori del catasto, direttori portuali, tesorieri di ogni livello.
In questi mesi gli USA pullulano quindi di cartelli, spot elettorali, rendiconti, polemiche, uomini-sandwiches che girano per strada o camminano agli incroci con sulle spalle grandi cartelli con nomi di candidati.
Milioni di giardini, incroci e cigli delle strade sono ingombri di una multiforme sarabanda di cartelli colorati e nell’imminenza del voto lo saranno sempre di più.
Ma – soprattutto per Congresso e Casa Bianca – non mancano i colpi bassi con attacchi personali pubblici con toni pesanti e per noi inusuali. Non solo infatti si è invitati a votare “per” ma anche “contro” le singole persone e più cresce l’importanza del posto in palio più si affilano i coltelli.
Soprattutto gli spot televisivi – locali o presidenziali – sono molto più duri e dissacranti rispetto ai nostri. Si prende un fotogramma o una frase di un discorso del candidato avversario e già poche ore dopo il messaggio viene montato, commentato e ributtato in pasto all’opinione pubblica con commenti acidi se non vicini (o oltre) l’altrui diffamazione.
Si va infatti sul pesante, spesso anche sul piano personale. Condizioni di salute, denuncia dei redditi, pagamento dei contributi ai collaboratori, passato “allegro”: tutto può far polemica e uccidere un candidato vincente. Il logoramento della Clinton sulle mail inviate usando un computer non protetto non finisce mai ed è diventato un tormentone estivo come i chiacchiericci sui soldi che Trump avrebbe elargito alle sue ex mogli e fidanzate.
“La Clinton è malata, si ritiri” si afferma a destra. “Tenete fermo quel pazzo!” si replica a sinistra.
Trump suscita facile ilarità per le sue battute che poi vengono commentate come barzellette negli spot avversari con inquadrature caricaturali e spesso con un risultato davvero esilarante (la capigliatura del candidato, tra l’altro, si presta…), condite con la domanda: “Ma come potete fidarvi di un presidente così?”. Anche la Clinton – bloccata in un fotogramma con gli occhi estatici e adoranti al cielo per una discesa di palloncini biancorossoblù ad un comizio – viene commentata acidamente con un: “No, questa non è la vergine Maria!”.
Trump entra a gamba tesa sui video con flash di cartelloni rossi con statistiche impietose sulla gestione Obama e ripete: “Torniamo a ripulire la Casa…Bianca”. I supporter della Clinton inquadrano il candidato repubblicano in camicia e ironizzano sulla sua violenta campagna anti immigrazione portandone un polsino in primo piano: “Guardate, Trump dice e non fa: questa camicia è tessuta in Pakistan, altro che aiutare il lavoro negli USA!”
Certo gli spot costano e le inserzioni pure ed ecco perché ogni campagna presidenziale ha bisogno di centinaia di milioni di dollari dove ogni contributo deve (o dovrebbe) essere registrato, detraibile dalle imposte ma ufficializzato con limiti precisi di budget a seconda di chi paga. Ecco così spuntare alle spalle della Clinton note lobby finanziarie mentre dietro a Trump ci sono apertamente schierate quelle delle armi e delle materie prime (petrolio e carbone su tutte), anche se lui sostiene di rimetterci soprattutto del suo.
Polemica nella polemica i repubblicani sostengono che Mr. Clinton ha tenuto come ex presidente conferenze a pagamento dribblando il fisco e la legge e mettendo i fondi favore della moglie.
Ne risentono anche i programmi elettorali che apertamente sono diretta conseguenza di chi paga: Trump ha alle spalle le compagnie petrolifere? Eccolo dichiarare apertamente che darà l’ok alle perforazioni in Alaska e a denunciare il trattato di Parigi sulla riduzione dell’inquinamento, mentre la Clinton glissa sulle richieste di chiarimenti su molte recenti operazioni finanziarie e forniture equivoche soprattutto nel campo della difesa..
Implacabile, intanto, l’agenzia di scommesse ufficiale Paddy Power aggiorna quotidianamente le quote sul voto di novembre. La Clinton un mese fa era a 1.18 (punti un dollaro e se vince lo ritiri con un premio di 18 cents) con Trump a 3.60. Ora la Clinton è 1.38 e Trump a 2,25 con il terzo candidato Bernie Sanders a 25, ovvero fuori da ogni gioco. Più la forbice si stringe più cresce l’incertezza anche perché conterà molto chi e quanti americani andranno a votare tenuto conto che per farlo bisogna registrarsi e per ora lo ha fatto meno del 50% degli aventi diritto.
Di fatto entrambi i due candidati non piacciono molto e paradossalmente non suscitano simpatie anche all’interno del proprio partito perché i repubblicani trovano Trump troppo aggressivo mentre sui democratici pesa la continuità della Clinton con Obama che ha complessivamente deluso l’elettorato nero.
Sarà un testa a testa e sicuramente non mancheranno i colpi di scena.
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