L’Italia raccontata da Fo, Jannacci e Gaber attraverso la voce di Marina De Juli è un’Italia che forse non esiste più, almeno in apparenza: è l’Italia democristiana della censura televisiva che puniva i ribelli con l’espulsione immediata dalla tv di Stato; l’Italia delle periferie operaie, nebbiose e desolate, negli anni del boom economico; l’Italia del conformismo di sinistra, snob e radical chic. Solo in apparenza, però. Internet e i social network hanno aperto nuovi spazi di comunicazione ma i problemi si sono aggravati, le fabbriche sostituite dalla disoccupazione, i media concentrati nelle mani di pochi miliardari, le differenze sociali sempre più marcate.
Allieva prediletta di Dario Fo e Franca Rame, Marina De Juli ha portato a Varese lo spirito giullaresco e dissacrante della Palazzina Liberty di Milano, ha riadattato il minuscolo teatrino di Cuasso al Monte dove tiene lezioni di recitazione e porta in giro divertenti e mai banali spettacoli di musica, danze e prese in giro di chi detiene il potere, Berlusconi o Renzi che sia. Perché c’è sempre qualcuno che siede in cattedra e tiene l’ordine in classe a bacchettate sulle dita. L’occasione per applaudirla è la raccolta di offerte a Induno Olona per donare farmaci e generi di prima necessità alle popolazioni colpite dal sisma in centro Italia.
Da che mondo è mondo, la storia di chi esercita e di chi subisce il potere fa spettacolo. Amaro, irriverente, sarcastico, spassoso. Come il racconto della premiata ditta Fo & Rame che, nell’anno di grazia 1962, fu ingaggiata dai vertici Rai per condurre Canzonissima e liquidata dopo otto puntate perché non allineata al perbenismo di Stato. Tutto il materiale registrato in quella leggendaria edizione fu rabbiosamente distrutto, tranne la sigla che satireggiava il metodo, tutto italiano, di far dimenticare i problemi dando alla gente qualcosa da cantare o un pallone da calciare: “La sigla si salvò – graffia la De Juli – perché i burocrati della tv non ne avevano capito il significato”.
La “rossa” (dal colore dei capelli) canta, balla, recita i propri testi e quelli dei tre mostri sacri accompagnata da Andrea Cusmano e da Francesco Amos Rampichini, chitarre acustiche, armonica e calde voci ispirate. Eseguono dolcissime versioni di Vincenzina, El purtava i scarp de tenis, La luna è una lampadina, Ho visto un re, L’Armando, La libertà, Ragazzo padre e altri memorabili brani dei tre maestri del teatro e della canzone d’autore. Sicura e disinvolta, simpatica e fiera della straordinaria scuola che l’ha formata, Marina snocciola canzoni e battute che il tempo non ammuffisce.
Tanti i cavalli di battaglia. C’è la moglie del casellante finito in galera per lo scontro fra un treno merci e un carro di peperoni, ci sono le disavventure degli italiani alle prese con il sesso e le disgrazie di Tangentopoli fra dramma e sberleffo: come il “mariuolo” Mario Chiesa che tenta di sbarazzarsi delle mazzette gettandole nel water al termine di una goldoniana storia di corna. Morale: “… e sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam…”. C’è tempo per una ballata che il padre del Gramelot compose negli anni sessanta per la sua Franca: Stringimi forte i polsi. Romantica e tenerissima.
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