Pluridecennale l’idea di trasformare il Senato in Camera delle Autonomie per evitare il bicameralismo paritario che non ha più nessun senso logico. Recente, invece, la necessità di riformare rapidamente la Costituzione sul rapporto Stato-Regioni modificato in peggio da un referendum soltanto nel 2001. È apparso subito chiaro che si trattava di un abbaglio super federalista nel tentativo di rincorrere la Lega su un terreno viscido e malfermo destinato a sprofondare.
Due gli errori di quel testo costituzionale del 2001. Primo, l’aver creato troppe competenze in coabitazione fra Stato e Regione che hanno causato una pericolosa confusione e molta inerzia. Secondo, non aver previsto la clausola dell’interesse nazionale a difesa dell’unità giuridica ed economica della Repubblica. Assolutamente giusto, ad esempio, che la sanità sia di competenza delle Regioni ma altrettanto doveroso l’intervento dello Stato per assicurare ai territori un livello minimo di assistenza accettabile e dignitosa. La riforma sottoposta a referendum rimedia ad entrambi gli errori.
Non è mai superfluo ripetere che alcune competenze attribuite alle Regioni nel 2001 vanno necessariamente riportate in capo allo Stato. Le Regioni hanno il diritto di essere ascoltate sulle grandi infrastrutture, sulla produzione dell’energia, sul commercio estero e su altre questioni, ma è lo Stato che poi assumerà la decisione finale e definitiva.
Fuori strada chi afferma che in questo modo le Regioni diventano semplici luoghi di decentramento amministrativo. Se fosse così sarei contrario ma così non è. La competenza legislativa delle Regioni resta salda in molti settori. Ciò che perdono a valle, nell’esercizio dei poteri che ho citato, le Regioni lo guadagnano a monte con una presenza influente nel luogo dove si formano le decisioni che le coinvolgono. Auspico che anche i presidenti delle Regioni siano presenti nel Senato in modo da rendere inutile e quindi abrogabile la Conferenza Stato-Regione.
Rimangono inalterate le competenze delle Regioni a Statuto Speciale ed è un problema che andrà affrontato in futuro. Se questa legge le avesse riformate non sarebbe mai passata: avrebbe messo troppa carne al fuoco. Nel futuro prossimo si potrebbe agire pragmaticamente sulla leva dei finanziamenti per eliminare privilegi oggi assurdi.
Va anche aggiunto (molto importante) che alcune Regioni potranno chiedere maggiore autonomia in alcuni campi fra cui le politiche sociali, l’istruzione e la formazione professionale, il governo del territorio. Importanti le novità rispetto alla Costituzione in vigore: è necessario aver il bilancio in pareggio (questo esclude parecchie Regioni) e la maggiore autonomia dovrà essere approvata da entrambe le Camere ma a maggioranza semplice e non più a maggioranza assoluta dei loro componenti (differenza corposa).
Il Senato delle autonomie così concepito dovrebbe rappresentare i territori e non le forze politiche. Ci vorrà del tempo ma l’approdo è questo. Per raggiungere tale obiettivo sarebbe più efficace se nel Senato fossero presenti i governi regionali in quanto tali, come accade in Germania. Era il modello che preferivo ma i modelli debbono sempre confrontarsi con la realtà. Con ben 17 (diciassette) Regioni a guida Pd avremmo un Senato quasi monocolore e il M5S (25% dei votanti) sarebbe completamente escluso non essendo presente in nessuna giunta regionale. I compromessi sono talvolta obbligati.
La mia esperienza personale (da assessore regionale ai Lavori Pubblici ero nel coordinamento nazionale) mi rafforza in due convincimenti. Uno, i rappresentanti regionali e i sindaci quando sono a Roma sono indotti più a rappresentare gli interessi dei propri territori che le idee dei propri dei partiti.
Due, il doppio incarico, locale e nazionale, se il lavoro è bene organizzato, non è un affatto problema come non lo è in Germania perché il carico di impegni al Senato sarà molto minore di oggi.
Bisogna sforzarsi di immaginare il futuro e non avere sempre lo sguardo rivolto all’indietro.
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