L’8 settembre è passato da qualche giorno, ma da noi è sempre l’8 settembre. Inteso come data simbolica di partenza della/di una guerra civile. Certo, non tutte le guerre civili sono uguali, e quella durante il secondo conflitto mondiale fu vera nel senso di cruenta. Ma ce ne sono di non meno combattute, pur senza armi, feriti e morti.
Prendiamo la politica. Qui le guerre civili, cioè le contrapposizioni all’interno d’uno stesso partito o movimento, han sempre rivaleggiato con quelle tra partiti o movimenti contrapposti. Anzi, in molti casi le hanno superate quanto a subdole strategie, virtuali coltellate, immaginifici colpi di Stato. Oggi per esempio la situazione delle maggiori forze parlamentari che ci rappresentano è la seguente.
Nel Pd il segretario Renzi, nonché presidente del Consiglio, viene avversato con ogni possibile strumento d’offesa da una minoranza che ambisce/anela a far naufragare la riforma costituzionale e riscrivere la legge elettorale. È la stessa minoranza che, quand’era maggioranza, non ha compiuto alcun gesto concreto per trovare soluzione a entrambi i problemi. Perché di problemi veri si tratta, e non d’astruserie insignificanti. Nascondendosi dietro apprensioni democratiche, i guastatori inseguono un preciso disegno, riassunto da Massimo D’Alema: “La vittoria del no al referendum segnerà la fine del partito di Renzi e del Partito della Nazione”.
In Forza Italia il candidato in pectore alle prossime elezioni, Stefano Parisi, gode d’ampia impopolarità tra molti gerarchi azzurri. Il fatto che Berlusconi lo abbia preferito a loro, li indigna. Un caso curioso: il governatore della Liguria Toti, che il Cavaliere indicò al ruolo senza ricorrere ad alcuna consultazione tra iscritti/simpatizzanti, sostiene la necessità di primarie per misurare il consenso del prescelto. Cioè: va usato oggi lo strumento che non si adoperò ieri. Toti è spalleggiato da Renato Brunetta, secondo il quale Parisi -capace di costringere Sala a un duro ballottaggio a Milano- è “senza quid”. Insomma, l’ottantenne leader sarebbe caduto in un qui pro quo. E i suoi veri fedelissimi gli si rivolgono preoccupati: quo vadis?
Eccoci alla Lega. Salvini non perde occasione per confermare il trend nazionalista, lepenista, destrista del partito. Arriva al punto di disertare una manifestazione a Brescia con il presidente della Repubblica, bersaglio di frequenti attacchi. Maroni invece a Brescia ci va, e non perde circostanza di difendere Mattarella e distinguersi da Salvini. A proposito -giusto per tornare all’argomento precedente- di Parisi futuro leader del centrodestra, Salvini ha espresso un giudizio radicalmente negativo, Maroni un’opinione largamente positiva. Nella Lega comanda in concreto Salvini, ma il vicecomandante non proprio astratto è Maroni. Che Lega abbiamo, dunque? Dopo la Lega1.0 e la Lega 2.0 forse un paio, la Lega 3.0 e la Lega 4.0.
Infine i Cinquestelle. Quello che sta succedendo a Roma, con ricaduta in ogni angolo delle periferie d’Italia, è sotto gli occhi di tutti, pur se appare difficile individuare nella lotta intestina chi è il purista e chi l’antipurista, chi ha i poteri e chi glieli vuol togliere, chi va catalogato come ortodosso e chi come eretico. Qualche ingenua domanda: è Grillo a voler far fuori la Raggi o viceversa? È Di Maio che mirava a scalzare Di Battista o il contrario? È Casaleggio junior che comunque seguita a decidere tutto nel solco genitoriale o sono altri che cercano di non far decidere più lui?
Nell’attesa dell’8 settembre dell’anno venturo, il materiale per eventuali celebrazioni di taglio storico e spirito disinvolto si va accumulando. È una produzione copiosa -verrebbe l’ùzzolo di definirla immensa- e se fosse lecito tenerne conto nel computo del Pil, ne uscirebbe risolta una volta per tutte l’angustia economica del Paese. Un peccato, non potersi scaldare al tepore di questo gran fuoco amico. Meglio: tra amici. Presunti, si capisce.
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