Alle 17 precise, puntuale come un orologio svizzero, Antonio fa capolino nella hall del villaggio turistico, smentendo tutti i luoghi comuni sui meridionali tiratardi. Antonio è un amico lucano innamorato della sua terra e ha tutte le intenzioni di farla amare anche a noi; è venuto con sua moglie Sandra per accompagnarci a scoprire alcuni luoghi attorno a Marina di Pisticci, dove stiamo trascorrendo una breve vacanza.
Non che sia difficile innamorarsi della Basilicata: nei giorni scorsi abbiamo già abbandonato gli ozi delle spiagge per visitare Matera e ne siamo rimasti conquistati. Oggi Antonio vuole mostrarci una Basilicata meno nota, ma non meno affascinante e il primo posto in cui ci conduce è la sua campagna, dove ci accolgono – custodi silenziosi – ulivi secolari dagli enormi tronchi contorti. Lui sale sugli alberi da frutto e ci riempie le mani di limoni grossi come cedri, di pesche e di fichi fioroni, che, come bambini impazienti, non vediamo l’ora di assaggiare: sono i profumi e i sapori che risvegliano in ognuno di noi il ricordo di una campagna dell’ infanzia. Persino le zanzare, che mi vampirizzano le gambe, mi sembrano sopportabili.
Imbocchiamo poi una strada deserta, che si snoda, scendendo con curve e tornanti, sul fianco di una collina e d’un tratto ci ritroviamo in Cappadocia: siamo in mezzo ai calanchi. Segnano, come rughe profonde, il pendio alla nostra sinistra; si sollevano come guglie dalla vallata alla nostra destra; e al di là della valle, fin dove lo sguardo riesce a spingersi, le alture si inseguono, definite da tutta la gamma dei verdi, dei gialli, dei bruni. Si “sente” solo il silenzio, e il frinire delle cicale. Ecco, penso, basta poco per essere felici: la luce calda del secondo pomeriggio, un profumo di arbusti mediterranei bruciati dal sole, una natura accogliente e alcuni buoni amici con cui condividere le emozioni che suscita. Questa è “la” vacanza.
Tursi, tappa successiva del nostro breve tour, s’inerpica sul versante di una collina, una casa sopra l’altra, fino alla Rabatana, antico quartiere arabo. Dovremmo arrivarci salendo a piedi lungo i tortuosi vicoli, ma ci mancano sia il tempo sia le gambe, già provate dai saliscendi di Matera, e quindi la raggiungiamo in auto. Il quartiere, di recente restaurato, è un borgo che ricorda Saint-Paul-de-Vence, in Provenza, o Pérouges, nel Rodano-Alpi, ma più familiare, meno artefatto. All’ingresso un cartello ammonisce: “Vietato calpestare i sogni”, eppure sembra che qui i sogni siano stati calpestati, perché pare che nessuno voglia godere della bellezza del luogo: disabitate le case, deserte le strade, solo noi ad ammirare, dalla finestra vuota di un edificio semidistrutto, l’inquadratura di un monastero isolato sulla collina. Unico segno di vita, un piccolo negozio di prodotti artigianali, dove troviamo alcune deliziose creazioni in ceramica che non possiamo fare a meno di acquistare.
Emozioni contrastanti – esaltazione, malinconia – che ci accompagnano anche nell’ultima meta di questo pomeriggio imprevedibile: Craco, il paese fantasma. A vederlo stagliarsi in controluce, scuro sul rosso del tramonto, aggrappato ad un picco roccioso, sembra una promessa: di storia, di cultura, di bellezza. Ma quando ci si avvicina e se ne scopre la decadenza, si ha la sensazione di soffrire con lui: finestre aperte e buie come orbite vuote, gradinate sghembe, mura sgretolate. Negli anni ’60 il terreno su cui era sorto cominciò a cedere, probabilmente per interventi infrastrutturali inadeguati, e dopo mille anni di storia tutti gli edifici furono evacuati. A noi, che lo guardiamo dal basso, al di qua delle recinzioni di sicurezza, nella luce fioca del crepuscolo, sembra davvero un fantasma pronto a vendicarsi del torto subito. Eppure, anche così ha un fascino misterioso, un fascino che ha indotto diversi registi a sceglierlo come set cinematografico.
A fine giornata, ci resta il desiderio di saperne di più, di conoscere tutti i chiaroscuri di questa terra sorprendente, di tornarci per scoprire le sue bellezze naturali, la sua storia millenaria, l’accoglienza della sua gente. Quando, dopo una pizza in compagnia e l’assaggio di alcune specialità locali – i peperoni “cruschi”, l’olio buono versato sul pane casereccio – chiediamo ad Antonio come possiamo ringraziarlo, ci risponde: “Raccontate ai vostri amici quel che avete visto, se vorranno venire accompagnerò anche loro”. Ecco, ho fatto di più: l’ho scritto, ma l’avrei fatto comunque, perché la Basilicata – come tutta l’Italia – è un sogno da non calpestare.
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