I trenta secondi che i Tg dedicano alle dichiarazioni sul referendum costituzionale consentono solo di ripetere i soliti slogan mentre i talk show saranno il campo di risse politiche dove si capisce ben poco. È bene impostare una seria discussione magari suddividendola, come cercherò di fare a partire da questo articolo, in varie parti: significato generale della riforma e nuovo Senato; rapporto Stato-Regioni-Autonomie; istituti di garanzia e partecipazione. E infine, benché non sottoposta a referendum, la legge elettorale detta Italicum nel suo nesso con la riforma.
Non è superfluo riaffermare in questa prima analisi che valori e principi, diritti e doveri, libertà e pluralismo scolpiti nella Costituzione repubblicana, diversamente da quanto sostenuto da alcuni avversari pregiudiziali, non vengono assolutamente toccati dalla riforma che piuttosto innova il sistema delle Istituzioni divenute gradualmente, dopo settant’anni, inadatte, vischiose e costose. Lo ammette esplicitamente una parte dei costituzionalisti che pure si sono dichiarati contrari o perplessi sulla riforma.
Sulla base di un lungo lavoro preparatorio svolto negli ultimi decenni la riforma opera in continuità con lo spirito della Costituzione originaria del 1947 confermando integralmente le norme che riguardano gli organi di garanzia come il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura. A differenza della riforma Berlusconi-Bossi, bocciata dal referendum 2006, che introduceva un forte premierato, non viene nemmeno rafforzata la funzione di governo se non in virtù del fatto che una sola Camera, e non anche il Senato, è titolare del rapporto di fiducia con il governo, come accade in tutta Europa.
Un pilastro sostanziale della riforma è proprio questo. Soltanto la Camera dei deputati sarà la vera Camera politica, darà la fiducia al governo, approverà il bilancio e la gran parte delle leggi semplificando ed accelerando il processo legislativo. E allora quale funzione per il Senato? Qui si scontrano due tesi dei sostenitori del NO: 1) il Senato va mantenuto nella forma di oggi. 2) Il Senato va abolito integralmente.
La riforma approvata dal Parlamento attua ciò che è ragionevole e corretto in uno Stato regionalista per scelta precisa dei Costituenti del 1947. Trasforma il Senato in una Camera rappresentativa delle Istituzioni regionali, territoriali, comunali. E lo fa mentre corregge giustamente gli errori e gli eccessi della riforma del centrosinistra del 2001 sottraendo alle Regioni e restituendo allo Stato la competenza su grandi infrastrutture, politiche energetiche, commercio estero. Meno potere alle Regioni su questioni nazionali, meno controversie con lo Stato, più voce alle Autonomie nella produzione legislativa che le riguarda in un Paese dove fortissima e imprescindibile è la tradizione di Comuni e Regioni molto differenti fra loro.
La scelta del Senato paritario del 1947, voluta da De Gasperi e accettata dopo esitazioni da Pci e Psi come un organo di garanzia e di bilanciamento politico ha perso gradualmente ragione di esistere per effetto dell’entrata in vigore di altri organi di garanzia (e contropoteri) come la Corte costituzionale (1957), le Regioni ordinarie (1970), il Parlamento europeo (1979). Finita la contrapposizione ideologica della Prima Repubblica (e anche antecedentemente) il sistema è entrato in crisi e il governo del Paese è apparso subito frenato da Istituzioni non più in grado di guidare con tempestività ed efficienza le sempre più rapide trasformazioni sociali e strutturali.
I critici affermano che i procedimenti legislativi del nuovo Senato diventeranno complicati. Certamente non saranno più la ripetizione esatta di quanto avviene alla Camera tranne, ad esempio, che per le leggi costituzionali e per i referendum per i quali si conferma il procedimento bicamerale. Il Senato potrà comunque sempre richiedere di esaminare ed eventualmente emendare qualsiasi disegno di legge approvato dalla Camera. Per non accogliere le modificazioni proposte dal Senato la Camera avrà bisogno, per alcune leggi ben definite, della maggioranza assoluta dei propri componenti mentre per le altre leggi basterà la semplice maggioranza dei votanti.
Un forte cambiamento (su cui ritorneremo) dentro una cornice che, una volta sperimentata, dovrebbe apparire logica e sensata.
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