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Sport

“LE MIE OTTO OLIMPIADI”

FELICE MAGNANI - 22/07/2016

Bruno“Se nella mia carriera sono arrivato a livelli molto alti di responsabilità, lo devo soprattutto alla disciplina sportiva che ho avuto la fortuna di praticare, all’organizzazione, alle persone che mi hanno seguito e aiutato e anche a quelle che, per varie ragioni, non mi hanno apprezzato. Mi ritengo molto soddisfatto per come ho saputo gestire la mia vocazione e per come ho saputo viverla, per tutte le cose che ho fatto e per come le ho fatte. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia sana alle spalle, semplice, contadina, ma di altissimo valore morale, che mi ha fatto respirare il sapore di un’educazione forte, coraggiosa, che si riassume in un’espressione a me carissima, che mi ha sempre accompagnato in ogni momento della mia vita: “Viaggia su un percorso di grande onestà e vedrai che troverai le strade aperte” ”.

Sono le parole di Bruno Franceschetti, un grande personaggio dello sport italiano, veterano dell’esperienza olimpica, che ha vissuto in tutte le sue variabili, sempre con grande passione e correttezza. Bruno, uno di quei personaggi che anche al culmine della celebrità, dopo il trionfo di Jury Chechi alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, mantiene intatta quella riservatezza di costume che è parte integrante della sua natura. Per farlo raccontare bisogna snidarlo, bisogna che capisca che anche tu, come lui, ami l’onestà, la riconoscenza, il valore delle cose umane, che anche tu, come lui, ami lo sport nella sua essenza, coltivandone lo spirito. È così che la scorza un po’ ruvida del veneto tutto d’un pezzo si scioglie e si apre, offrendo un quadro meraviglioso della Ginnastica artistica e dello sport in generale, di cui Bruno si sente alfiere sempre. Quando parla della Ginnastica e dello Sport s’illumina, è come se riscoprisse ogni volta la bellezza di quello che ha vissuto. “Lo sport dà valore alle persone, valore umano, morale, sociale. A me ha dato anche quello culturale. La mia cultura personale, infatti, aveva bisogno di essere approfondita. A 23 anni ho preso una decisione importantissima per il mio futuro. L’ho presa grazie all’amicizia di due grandi della Ginnastica, con i quali ho condiviso meravigliose esperienze olimpiche, si tratta di Franco Menichelli e di Luigi Cimnaghi, che hanno insistito perché prendessi il diploma di Scuola media e mi iscrivessi alla Scuola dello Sport di Roma, dopo le Olimpiadi di Tokyo del 1964. Lo sport è anche questo, amicizia allo stato puro, condivisione e solidarietà, capacità di riconoscere i bisogni dell’altro”.

Quando Bruno parla del suo passato è come se lo vivesse di nuovo, anche se ti dice che lui è fatalista, realista, che seleziona il patrimonio del tempo. Ti rendi conto che non sono bastate otto Olimpiadi a fargli smettere la voglia di amarle, di respirarne il profumo, quel sapore di sfida sportiva che esalta la purezza dell’incontro olimpico. Due Olimpiadi come atleta, Tokyo e Città del Messico, quattro come allenatore della squadra nazionale, Los Angeles, Seul, Barcellona, Atlanta, una come responsabile tecnico e giudice ad Atene 2004 e una come cronista della televisione della Svizzera italiana, a Pechino 2008, un impegno a tutto campo che lo qualifica come il mentore della Ginnastica Artistica nazionale. Il suo percorso di avvicinamento all’Olimpiade non è stato accompagnato da manifestazioni eclatanti, da tambureggianti elogi, è stato il cammino cosciente e razionale di un atleta capace di essere all’altezza della situazione sempre, diventando una sicurezza per gli allenatori e per la nazionale.

“Non avevo seguito l’Olimpiade di Roma del 60. Ne sentivo parlare dalla televisione, dai giornali, dai ginnasti più grandi, ma non mi sentivo particolarmente coinvolto, a me piaceva la mia disciplina con i suoi gesti e il mio pensiero era tutto preso dalla bellezza di quello che stavo facendo. L’apprendimento della gestualità tecnica mi trasmetteva una grande gioia, non pensavo assolutamente che un giorno sarei stato chiamato a rappresentare l’Italia in un’ Olimpiade. Ero giovane, praticavo lo sport, credo, come dovrebbe essere praticato da tutti”.

Un giovanissimo atleta senza grilli per la testa, tutto preso dalla purezza e dalla bellezza del suo sport, quello per cui madre natura lo aveva plasmato. È in questo disincanto romantico che Bruno coltiva le sue gioie, la sua voglia di fare, di dimostrare a se stesso che quella era la strada giusta per essere felice. È proseguendo su questa via che è approdato alla maglia azzurra, insieme a un team di atleti e di dirigenti straordinari, capaci di strappare uno splendido quarto posto alle Olimpiadi di Tokyo 64, dietro squadroni irraggiungibili come Giappone, Russia, Germania (Est/Ovest).

“Sono arrivato ad alti livelli lavorando sodo. Praticavo lo sport per il piacere di farlo senza pensare ad altro, non mi sentivo assolutamente condizionato dal fatto di dover arrivare. Ogni passo era frutto di una naturale predisposizione fisica e mentale, mi sentivo spiritualmente coinvolto. Una delle difficoltà maggiori per quei giovani che arrivano alle Olimpiadi è la pressione esterna, quella che si traduce in stati d’animo di diffusa inquietudine, per cui tutto diventa più complicato, perché in molti casi affronti le prove senza quella tranquillità che è necessaria per coordinare alla perfezione i movimenti. L’Olimpiade è un grande banco di prova, bellissima per chi la osserva, ma estremamente complessa per chi la deve sostenere. Lo stato d’animo in queste circostanze è fondamentale. Per fortuna, a parte qualche notte insonne, sono sempre riuscito a essere un perfetto apripista, nel senso che avevo la condizione nervosa necessaria per creare il clima giusto anche per quelli che avrebbero dovuto sostenere le prove dopo di me”.

Così era Bruno come atleta e così è stato nelle diverse parentesi della sua vita sportiva, dove ha continuato a insegnare la bellezza dello sport in generale e in particolare la Ginnastica artistica, disciplina per la quale ha speso tutte le sue più belle doti di atleta e di allenatore. Il suo nome si lega indissolubilmente al signore degli anelli, quello Juri Chechi da Prato, medaglia d’oro ad Atlanta 96 e medaglia di bronzo ad Atene 2004.

Con Jury una storia infinita, un incontro destinato a lasciare un segno indelebile nella vita di entrambi, una storia che ha avuto come protagonista la città di Varese, la Società Varesina di Ginnastica e Scherma e la collina del De Filippi, dominata dallo spirito guerriero di monsignor Tarcisio Pigionatti. Ancora oggi quando Bruno parla di Jury è come se raccontasse di un figlio con il quale ha trascorso quasi vent’anni di lavoro certosino, di tour in giro per il mondo, di preparazione quasi religiosa, dove spesso s’incrociavano le regole ferree di una disciplina che non concedeva distrazioni e disattenzioni. Parlandomi di Jury, un giorno mi disse: “Ho lavorato con lui con grande passione e senza sforzo. Devo dire, in tutta onestà, che ho avuto tanti atleti che mi hanno dato delle grosse soddisfazioni e quindi ringrazio tutti, senza di loro non avrei avuto quello che ho avuto. Con Jury siamo stati insieme vent’anni e non so se io ho preso da lui o se lui ha preso da me; professionalmente lui ha preso molto perché ha fatto molto. Con Jury ho agito spesso utilizzando l’empatia, facendogli credere che quello che lui sceglieva era farina del suo sacco, mentre invece ero io che lo spingevo ad andare in quella direzione. Cercavo di ricordarmi sempre quello che mi aveva insegnato un mio docente, il quale affermava: “Guardate che se usate l’imperativo l’atleta vi segue, ma quando è stanco non vi segue più. Fategli credere che sia lui a scegliere, ma portatelo voi dove deve essere portato””.

 Bruno è stato un allenatore molto attento, consapevole degli automatismi della Ginnastica artistica, paterno e inflessibile, dotato di un notevolissimo patrimonio tecnico e umano, un allenatore che ha fatto la fortuna di numerosi atleti di alto livello che sono passati da lui. Oggi si sente un uomo appagato, ma non nasconde qualche delusione.

Mi racconta di una Ginnastica artistica poco considerata, della mancanza di atleti di valore, di budget piuttosto modesti, di sport privilegiati e di altri che fanno fatica, mi parla di valori che si stanno perdendo per strada, di malesseri profondi da curare, pur riconoscendo che alcuni sport tengono benissimo, come ad esempio il nuoto, la scherma e la ginnastica ritmica.

Si sofferma in modo particolare su quelli che ritiene essere i problemi attuali, carenze di natura strutturale e infrastrutturale, carenze legate in particolare alle attrezzature che mancano, carenze di natura economica, di soldi da gestire per il rilancio delle discipline, carenze di ordine organizzativo e di preparazione culturale. Si rammarica che la Ginnastica artistica non venga presa nella giusta considerazione, è preoccupato per le prossime elezioni federali, soprattutto per la candidatura di Jury, di cui sottolinea l’esperienza e la capacità di capire e delineare un possibile rilancio del settore ginnico nazionale.

È un Bruno Franceschetti che continua ad amare quello sport che gli ha regalato la parte più bella ed entusiasmante della sua vita e che vorrebbe aiutare a essere ancora quello che ha dato tante soddisfazioni alla nazione italiana. È un uomo che crede fortemente nell’empatia umana, nella capacità degli uomini di convivere grazie allo sport, che si commuove e si arrabbia di fronte alle ingiustizie umane, che vorrebbe vedere più professionalità, più attenzione, più amore e più preparazione nell’affrontare i rapporti interpersonali, un padre che non vorrebbe mai smettere di insegnare ai propri figli la grande missione educativa dello sport.

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