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Cultura

TEOLOGIA DELLA CRISI

LIVIO GHIRINGHELLI - 22/07/2016

VangeloGià con l’Illuminismo si era verificata una riduzione del Vangelo a semplice messaggio morale. Nell’Ottocento ricerche sempre più affinate e meticolose condotte sui testi biblici avevano portato a una relativizzazione del messaggio evangelico. Con Ernest Troeltsch (1865-1923) la superiorità del Vangelo rispetto alle altre religioni universali, la vitalità nella storia moderna delle forme sociologiche e politiche, che si richiamano al Cristianesimo, sono dichiarate in nome della morale e calate nel flusso della storia.

Ma è con Karl Barth (1886-1968) e la sua Epistola ai Romani (1919) che si entra nella teologia dialettica o della crisi: la differenza qualitativa tra il tempo e l’eternità è infinita, sono poste in primo piano l’assoluta trascendenza di Dio e la gratuità dell’azione salvifica di Cristo; l’assoluto è da rinvenire solo nella Bibbia. Chiari i riferimenti a Kierkegaard, come l’analogia con le filosofie dell’esistenzialismo. La crisi della storia vi appare a farla breve evidente, non si tratta di un nodo interno al corso storico. Anche nel pensiero di Rudolf Bultmann c’è un richiamo all’esistenzialismo (di Heidegger).

Nell’accostarsi al significato profondo dei Testi Sacri si deve operare un processo di demitizzazione. Paul Tillich (1886-1965) istituisce un confronto con esistenzialismo, psicanalisi e marxismo. Con Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), vittima dei campi di concentramento nazista, compare la disposizione di Dio a lasciare autonomia all’uomo fattosi ormai adulto.

Per converso in campo cattolico, sino a epoca relativamente recente (Concilio Vaticano II) hanno sempre prevalso ferrei vincoli di carattere sia disciplinare che dottrinale nel negare il dialogo tra Cristianesimo e mondo contemporaneo (resistenza a ogni esame storico-critico dei Vangeli, molto limitata la lettura, a differenza che nel mondo protestante, affermazione del primato della tradizione ecc.).

Tra Ottocento e Novecento feroci sono la critica e la persecuzione in vari casi verso i portatori (anche timidi) delle istanze modernistiche nelle diverse formulazioni, clamorosi i casi di Buonaiuti e Murri. Categorica è la condanna papale pronunciata colla Pascendi Dominici Gregis (1907). Disconosciuto è il pensiero di Teilhard de Chardin in ordine alle sue aperture evoluzionistiche.

Nella prospettiva del Concilio invece interessanti sono le aperture di Hans Urs von Balthasar e Karl Rahner (l’uomo è intimamente disposto all’ascolto della parola di Dio), sospette comunque quelle ecumeniche di Hans Küng, come la sua serrata critica nei confronti delle gerarchie. Dagli anni Sessanta si diffondono in America latina le istanze (talvolta anche rivoluzionarie) della teologia della liberazione avversa alle dittature negatrici d’ogni diritto dei poveri e degli oppressi.

Per quanto attiene alla teologia ebraica della Shoah si accampano le interrogazioni su Dio, sul ruolo da lui svolto nella storia, sulla sua stessa esistenza. Ecco affermarsi i temi della morte di Dio, del silenzio di Dio, dell’abbandono dell’uomo al suo destino. La modernità coll’impiego delle sue macchine tecnologiche e burocratiche ha portato allo sterminio del popolo eletto. Elie Wiesel in Dov’era Dio ad Auschwitz? lo vede muto, assente e sleale verso il suo popolo. Hans Jonas nel Concetto di Dio dopo Auschwitz afferma che bontà, onnipotenza e conoscibilità non possono più coesistere in lui.

Per quel che concerne la teologia islamica contemporanea di tutto rilievo è la tesi di Abu Zayd (1943-2010) che applica una chiave di lettura storicistica al Corano. I tradizionalisti ne hanno affossato il messaggio (è riferito alla composizione più che alla struttura e alla costruzione). Per lui la testualità del Corano invece in primo luogo implica linguisticità e storicità. È un testo da intendere come prodotto culturale e storico in rapporto a una determinata cultura. I testi religiosi sono testi linguistici. Il Corano non è parola divina eterna, attributo eterno di Dio, ma è da considerare creato nel tempo. Se il senso è stabile, il significato può variare, non va mummificato. C’è la sottolineatura del suo aspetto simbolico o allegorico.

In un secondo momento Abu Zayd interpreta il Corano come discorso essenzialmente fondato sul dialogo e il dibattito. Non è univoca la condanna nei riguardi di Ebrei (per il tradimento del messaggio originale) e Cristiani, né l’assoluzione. Tutto è da vedere sul piano della contingenza storica, della contestualizzazione. Al tempo di Maometto erano da mettere in causa il dileggio e il tradimento degli Ebrei nei suoi confronti.

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