(O) Avevi detto: Dacca è l’inizio di una epidemia, dopo Dacca tutto è possibile. Una profezia fin troppo facile. Adesso smettila di fare il menagramo, cerchiamo ragioni di speranza. Nonostante Nizza, nonostante Istanbul, nonostante tutto.
(C) Che nulla osti, sarebbe paradossale. Di fatto se non tutto, molto osta: hostis, il nemico vero, non l’inimicus, il non amico. Oggi osta anche il fatto che conosco bene la famiglia di una delle vittime italiane di Nizza, il mite bisnonno che aveva i nipotini a Busto. Fresca e vicina, è una ferita dolorosa.
(S) Al dolore mi si aggiunge la rabbia per l’impreparazione, la superficialità, l’inettitudine delle forze dell’ordine. E non è dello stesso genere la causa del disastro ferroviario di Andria? Confondere un treno con un altro!
(C) Se dal dolore passiamo alla preoccupazione, mi preoccupa di più, enormemente di più, il colpo di stato in Turchia, soprattutto le sue conseguenze. Che ci sia stata o no una complicità degli Americani, una interessata attesa di come sarebbe andata a finire di Russi ed Europei, un astuto sfruttamento dell’occasione di liberarsi di certi avversari interni da parte di Erdogan, la miscela esplosiva che ne risulta potrebbe essere molte volte più pericolosa dell’Isis. Istanbul è il luogo dove il Califfato fiorì per quattrocento anni sotto l’egemonia ottomana e dove è stato abolito meno di cento anni fa da un atto di forza di Ataturk. Ormai non è più una questione di polizia o di difesa della sovranità nazionale o della democrazia in versione occidentale, si tratta di sapere se non siamo arrivati ad un tornante della storia. Una Turchia riconvertita dalla laicità occidentalizzante ad una ortodossia sunnita rovescerebbe tutte le tradizionali alleanze e metterebbe in pericolo tutti gli equilibri mediorientali, fino alla stessa sussistenza di Israele.
(S) Se all’impreparazione delle polizie aggiungi quella dei politici e dei diplomatici, siamo a posto. Purtroppo non ci sono più solo gli americani a combinare guai, ci si sono messi tutti gli europei, singolarmente e come UE. Nemmeno noi abbiamo più un Andreotti o un Moro.
(C) Temo che non basterebbe Talleyrand. La debolezza europea e americana non sta nella tecnica diplomatica o nella forza militare, ma in quella cultura che ho maldestramente cercato di descrivere due settimane fa, in quel ‘pensiero unico’ che, mettendo le condizioni materiali della produzione e del consumo di beni al di sopra di ogni regola di vita e di qualsiasi speranza di felicità, si propone come meta ambita e insieme impossibile agli altri tre quarti della popolazione mondiale.
(O) in questo enorme pentolone, cuoce, secondo te, il brodo di coltura dell’estremismo?
(C) Anche qualcos’altro. Cuoce il disagio del nero africano, quello dell’afroamericano, del sudamericano emarginato. Il fondamentalismo islamico però dà a questo disagio una cultura antagonista, che però a differenza del marxismo insurrezionale degli anni settanta non ha bisogno né di analisi corrette né di lotta di massa: salta direttamente all’azione. Non dovremmo nemmeno chiamarlo ‘terrorismo’: stiamo prendendo questo termine dalla lotta del FLP o più indietro dall’Algeria, ma in questi casi il terrorismo ha lo scopo preciso e dichiarato di far compiere un passo indietro al nemico occupante e può essere abbandonato una volta raggiunto lo scopo, il jihadismo conosce invece solo lo scopo finale, la totale sottomissione dell’infedele, sia sotto l’aspetto politico, sia sotto quello religioso e culturale.
(S) Che dal loro punto di vista è la stessa cosa, sono aspetti inscindibili. Quindi a chi ti fa una guerra totale, si risponde in modo altrettanto totale!
(C) No! Al contrario, si risponde su tutti gli elementi del confronto, ma in modo proprio differenziato. Lascio per ultimo l’aspetto principale e comincio dal più banale, quello militare/statale. Dico banale perché è ovvio che ad una minaccia militare si risponde con mezzi adeguati, in Irak, in Siria, in Libia, dovunque sia; con i mezzi della polizia e della giustizia nei nostri Stati di diritto. Non si deve sottovalutare l’attrattività generata dai successi militari dell’ISIS sui giovani anche in Europa.
La questione politico-diplomatica è inscindibile da quella economica. Il paradosso è che c’è troppa collaborazione economica, quasi complicità, tra la finanza occidentale e quella mediorientale/petrolifera, che tuttavia, volente o nolente, per potersi godere in santa pace i propri principeschi ricavi, compra a caro prezzo immunità e salvacondotti presso i jihadisti, lasciando loro mano libera contro gli ‘infedeli’. Più l’economia occidentale dipende dal petrolio mediorientale, più i nemici ideologici dell’occidente possono armare la guerra santa a spese dell’occidente stesso, con i padroni del petrolio come mediatori. Su queste basi, non deve stupire che ci sia pochissima collaborazione politica. L’unica eccezione era (è?) la Turchia, che non avendo petrolio e avendo invece molta popolazione bisognosa e l’Unione Sovietica un tempo al confine, si appoggiava volentieri alla Nato e all’Occidente. Non giurerei che dopo il colpo di stato sia e sarà sempre così.
Infine la questione culturale-religiosa, che ritengo la più importante. Vi sembrerò, cari Onirio e Sebastiano, ben più che paradossale. Siamo noi che dobbiamo cambiare, almeno quanto loro, se non di più, e in modo autonomo, non negoziale. Non si tratta di pace in cambio di moschee. O dei diritti delle donne e degli omosessuali imposti insieme alla democrazia rappresentativa. Dobbiamo accettare una forma di diseguaglianza formale, che cioè i musulmani abbiano nei paesi laico-cristiani diritti più sostanziali di quelli concessi ai non musulmani nei paesi islamici. Non solo: dovremmo sforzarci, per il nostro stesso bene, di rivedere il nostro stile di vita: possesso e consumo, come gli unici veri comandamenti cui obbediamo e in cui vorremmo integrare chi viene da un’altra cultura, stanno già ottenendo l’effetto contrario. Ma temo che lo stesso effetto di dis-integrazione sociale e culturale stiano iniziando a produrlo anche in occidente sulle nuove generazioni. È una conseguenza che non possiamo permetterci, neppure su di una piccola percentuale di immigrati, pena avere una piccola Nizza un giorno sì e uno no.
(S) Io non sono affatto d’accordo con la tua conclusione: chi viene nella mia città, nella mia casa deve conoscere le mie regole e deve volerle e saperle rispettare, io a mia volta devo pretendere che le rispetti. Non chiedo altro, non pretendo che divenga come me, che abbia i miei stessi sentimenti, che aderisca ai miei stessi ‘ismi’, basta che non sovverta le basi della società che noi abbiamo costruito.
(O) In fondo volete ambedue lo stesso risultato, che si crei un’armonia dei diversi, ma non si potrà ottenere solo per effetto delle leggi o della buona volontà dei singoli, senza le risorse dello Stato e l’impegno delle istituzioni tutte non si otterrà nulla. Un programma d’interventi straordinari di socializzazione e di formazione degli immigrati gioverebbe molto a loro e a noi, soprattutto se i formatori potessero essere trovati anche tra i primi che si sono integrati. Ma c’è un leader politico che abbia il coraggio di avanzare una simile proposta?
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