Che facce da bravi ragazzi! Questo ho pensato appena un attimo prima di accorgermi che imbracciavano un Kalashnikov e che erano i terroristi di Dacca. Guardavano l’obiettivo con un sorriso luminoso, come se stessero posando per una foto da inviare alla fidanzata lontana. Invece si stavano preparando alla strage.
Neanche una settimana è passata, ed altri individui – facce meno rassicuranti, barba nera d’ordinanza – compaiono in TV e sul web a minacciare nuove carneficine. E quante altre volte abbiamo visto gli assassini col coltello in mano, pronti a sgozzare un essere umano inerme che aveva la sola colpa di non pensarla come loro?
Ora la domanda (una delle tante) è: si deve dare spazio a queste persone? È giusto mostrare i loro volti in televisione e sui giornali, riferire i loro farneticanti proclami, consentire che pubblichino sui social network i loro macabri, deliranti filmati?
Chi dice di sì adduce argomentazioni anche condivisibili: il diritto di informare e di essere informati, il rifiuto di ogni tipo di censura – compresa l’autocensura -, la necessità di mostrarsi forti e per nulla intimiditi, nella convinzione che ciò possa essere pure un deterrente per chi fosse tentato di imitarli.
Ma io dico no. Dico che si dovrebbe dare solo la nuda notizia. E niente foto, niente filmati. Nessuna informazione sulla loro vita, sulla vita dei loro padri, nonni, bisnonni, parenti e amici come succede ora. I social network dovrebbero oscurarli.
Soprattutto non si dovrebbe comunicare il loro nome. Se pensano che il loro gesto li condurrà alla gloria del paradiso, devono sapere che tra gli esseri umani di loro non resterà memoria.
E poi non credo che tutti agiscano nella speranza di un premio nell’aldilà; credo che le motivazioni siano varie e complesse e che tra queste ci sia il desiderio di comparire, di vedere amplificato il proprio gesto, come dimostra la disinvoltura e l’abilità con cui usano i media. E contro tale aspirazione l’unica arma è il silenzio, la condanna all’oblio.
Forse ciò non sarà possibile: penso a Erostrato di Efeso, vecchio pastore sconosciuto, che nel 356 a.C. incendiò il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo di allora, e confessò di averlo fatto per diventare famoso. Le autorità della città decisero quindi che non avrebbe dovuto avere neppure un attimo di notorietà e decretarono che il suo nome fosse cancellato da ogni documento ufficiale. Invece, a distanza di quasi 24 secoli, ancora lo ricordiamo. Gli psicologi hanno chiamato “complesso di Erostrato” la patologia di chi vuole essere a tutti i costi al centro dell’attenzione; è stato coniato addirittura il termine twitterostrati per indicare coloro che pensano di raggiungere la fama pubblicando sul web ogni istante della propria vita.
Tuttavia non dovremmo essere noi, le vittime, ad accendere le luci del palcoscenico per lo spettacolo dei carnefici.
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