Quattrocento e un anno fa moriva il vescovo di Novara Carlo Bascapè (1550-1615), già segretario personale di Carlo Borromeo e suo principale biografo, nonché autore di una ristampatissima storia della città piemontese. Bascapè fu una sorta di “agente segreto” di san Carlo che lo utilizzò in delicate missioni diplomatiche alla corte di Filippo II re di Spagna e la sua “lunga mano” in tema d’arte sacra: riorganizzò il Sacro Monte di Varallo e progettò quello di Orta per raccontare, all’interno delle cappelle, la storia della vita di Cristo con una narrazione conforme ai testi sacri.
Nato a Melegnano, la città di cui era marchese lo zio di san Carlo, Gian Giacomo Medici, fratello di Gian Angelo futuro papa Pio IV, pubblicò a Ingolstadt in Germania una delle prime biografie del santo nel 1592, a otto anni dalla morte. La biografia, scritta in latino, non fu stampata subito in Italia perché osteggiata da chi non condivideva la riforma attuata dal Borromeo. Il testo fu invece approvato dal vescovo tedesco e Luca Vandoni avrebbe poi curato la traduzione italiana nel 1614.
Scrive Dorino Tuniz in “Carlo Bascapè, un vescovo sulle orme di San Carlo” (Interlinea, 2015): “Al problema dell’arte sacra rivolse una particolare attenzione, che si manifestò attraverso una politica di minuzioso controllo secondo le severe instructiones fabricae emanate dal Borromeo. I parroci non avrebbero dovuto costruire nuove chiese senza il suo beneplacito per la scelta del sito, del progetto architettonico e dei programmi di decorazione pittorica e scultorea. Si preoccupò che le immagini fossero di fattura tale da suscitare la devozione dei fedeli e seguì questi stessi criteri anche per i Sacri Monti”.
Il Concilio di Trento aveva individuato nelle immagini lo strumento per educare il popolo alla fede e Bascapè riorganizzò il Sacro Monte di Varallo facendone il banco di prova di uno straordinario esperimento di didattica religiosa: “Se la funzione delle immagini era quella di insegnare – scrive Tuniz – era necessario che la storia fosse ben leggibile. Il vescovo prediligeva una pittura molto comunicativa e descrittiva, che illustrasse la scena evidenziando i sentimenti delle figure che vi partecipavano, in modo che i fedeli si sentissero coinvolti e mossi alla devozione”.
In Lombardia Carlo Borromeo aveva percorso in lungo e in largo la diocesi, dalle canoniche sulle montagne luinesi alle chiese in riva al lago Maggiore. Non fece però in tempo a vedere l’inizio dei lavori di sbancamento della Via Sacra sopra Varese, di vent’anni posteriore alla sua morte, di cui fu l’ispiratore. Era solito frequentare il quattrocentesco Sacro Monte di Varallo e vi si era recato pellegrino anche pochi giorni prima di morire, nel 1584, lasciando “molti disegni per le Cappelle da farsi e chiamò a realizzarle il Pellegrini”.
Le opere che ordinò ne fecero il prototipo dei Sacri Monti successivi. “Fu questa tappa della storia religiosa e artistica del Sacro Monte di Varallo – conclude Tuniz – a divenire modello per i Sacri Monti di Varese e Orta. L’uomo di fiducia di Carlo Borromeo avocò a sé il compito di stabilire cosa raffigurare nelle singole cappelle, il tema della scena e i particolari iconografici. Voleva poi vedere il bozzetto dell’artista ed eventualmente correggerlo ed era sempre lui ad autorizzare la costruzione delle nuove cappelle e la loro decorazione”.
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