L’aeroporto della Malpensa, una delle maggiori attività della provincia di Varese, è da tempo terreno di progetti contrastati e di scontri politici. La società che gestisce lo scalo, la Sea, è controllata da Comune di Milano e gestisce anche l’altro scalo del capoluogo lombardo, quello di Linate. Ma la Sea non può fare quello che vuole: deve rispettare innanzitutto le direttive europee e, ovviamente, i regolamenti di attuazione italiani.
Ora il traffico aereo è uno dei settori maggiormente liberalizzati e con successo: lo dimostra la crescita delle compagnie low cost, come Ryanair e Easyjet, la prima che ha la sua base a Bergamo, la seconda proprio a Malpensa dove ha praticamente occupato l’intero Terminal 2.
Vi è da dire che le scelte che hanno accompagnato lo sviluppo degli scali milanesi sono state quanto mai ondivaghe e contraddittorie. Fino agli ultimi anni del secolo scorso a Malpensa erano confinati solo i voli intercontinentali per un motivo essenzialmente tecnico: i grandi aerei non potevano atterrare su di una pista breve come quella di Linate.
Nel 1998 la svolta più importante: si apre Malpensa 2000, i nuovi Terminal realizzati anche grazie ai finanziamenti europei, con lo spostamento di gran parte dei voli e con lo scalo di Linate destinato a diventare un aeroporto cittadino limitato alla navetta Milano-Roma.
Ma mentre a Monaco di Baviera così come ad Atene all’apertura di un nuovo grande scalo ha fatto seguito la chiusura di quello vecchio, in Italia si fanno spesso due passi in avanti e uno indietro. Linate non solo resta aperto, ma diventa il terminale che le grandi compagnie europee utilizzano liberamente per portare i passeggeri nei loro grandi scali, ricchissimi di collegamenti, di Francoforte, Parigi o Londra.
Alitalia nei primi anni del secolo sposta molti voli a Malpensa, ma non fa mai diventare l’aeroporto della brughiera una propria base operativa per non penalizzare Fiumicino e quindi con costi di gestione operativa particolarmente alti. Le mezze scelte, dettate da interessi politici piuttosto che da calcoli economici, costano il doppio e non è un caso che Alitalia, sull’orlo del fallimento, nel 2008 toglie quasi completamente i propri voli da Malpensa riportando a Roma il centro delle proprie attività anche per il progressivo impoverimento di una delle tradizionali fonti di reddito: la navetta Milano-Roma, gestita per decenni in rigoroso monopolio, ma inaridita dalla concorrenza dell’alta velocità ferroviaria.
Dopo il ritiro di Alitalia e un drastico calo dell’operatività, Malpensa ha iniziato un cammino di ripresa con una logica di fondo, quella di diventare un aeroporto aperto a tutte le compagnie, dotato di buoni servizi e di collegamenti efficienti. Abbiamo detto di Easyjet, che ne ha fatto la propria base italiana, ma sono più di cento le compagnie di tutto il mondo che hanno collegamenti con Malpensa. È la legge del mercato. Le potenzialità che Alitalia non ha saputo sfruttare, come l’essere l’aeroporto al centro del territorio più ricco d’Italia, vengono ora utilizzate da altri meno vincolati da logiche politiche o da interessi particolari.
La riduzione dell’operatività di Alitalia ha lasciato spazio a vettori come Emirates, la compagnia di Dubai, che oltre che voli per l’Emirato (comodi per tutte le destinazioni dell’Asia) offre collegamenti con New York che hanno riscontrato un forte successo sia nella fascia di pubblico medio-alta, sia in quella economica. Emirates ha investito su Malpensa creando aree riservate, ristoranti, punti d’incontro con una logica di servizio ad ampio raggio alla clientela.
Un successo frutto della libertà di mercato, un successo che ha innervosito Alitalia tanto che il suo vice-presidente ha chiesto di vietare i collegamenti di Emirates con gli Stati Uniti. La vecchia logica delle protezioni e dei monopoli torna regolarmente a galla. La stessa logica che ha impedito ad Alitalia di avere la forza di volare da sola.
Per Malpensa invece, e quindi per l’economia di Varese e della Lombardia, la libertà di mercato è essenziale per trovare nuovi spazi di crescita in linea con una realtà economica e produttiva alla pari con le altre grandi aree industriali d’Europa.
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