Sono andato domenica 26 giugno a visitare la chiesa di Sant’Imerio a Bosto, dopo aver saputo che quel giorno sarebbe rimasta aperta, per poter dare la possibilità a chi lo desiderasse di ammirare l’abside da poco restaurato, con i nuovi affreschi riportati alla luce. Alla chiesa di Sant’Imerio sono particolarmente affezionato per il rapporto che mi legava ad essa ai tempi della mia infanzia, quando abitavo nell’attuale via, allora vicolo, San Michele e bastava per me salire le scale di quel viottolo lastricato di pietre che ancora oggi collega via San Michele alla piazzetta antistante alla chiesa per raggiungerla.
Quella piazzetta era teatro delle nostre partite a calcio, come dimostra la foto, che mi ritrae con altri tre amici e due palloni. Tutti noi, bambini degli anni 50 e 60, sappiamo quanto fosse importante possedere un pallone; si giocava a calcio dappertutto, figuriamoci in una piazzetta così, che a noi allora sembrava persino grande, con un bel muro sul quale avevamo disegnato una porta.
Ma la chiesa di Sant’Imerio non era per me solo un luogo di gioco, ma anche un luogo di preghiera e di incontro con Dio. A volte vi entravo da solo e vi sostavo, attirato e al tempo stesso intimorito, dallo scheletro del santo, che allora era a vista, posto in un’urna situata a sinistra dell’altare. Di lui sapevo che era un pellegrino proveniente da oltralpe, forse dalla Germania, che era stato assalito dai briganti insieme al suo compagno Gemolo in Valganna e poi portato dal suo cavallo fino alla castellanza di Bosto. Non sapevo che cosa poi fosse successo, perché venisse venerato come santo, insieme a Gemolo, al quale fu dedicata un’abbazia in quel di Ganna.
Ma comunque, per quel poco che sapevo di lui, lo consideravo un amico, anche se era vissuto diversi secoli prima di me. Qualche volta succedeva che arrivasse qualche signore da Milano, che desiderava visitare l’antica chiesetta, io sapevo come procurare le chiavi e facevo anche da cicerone, ricevendone a volte anche una mancia.
Ma la chiesa conteneva oltre alle spoglie del santo, anche una effige della Madonna, chiamata del Pilastrello, che si festeggiava nel mese di luglio; ho un ricordo indelebile di quella festa, un giorno in cui presi una decisione fondamentale nella mia vita. Si i può dire che, pur con la consapevolezza che può avere un bambino, facessi esperienza di quella dimensione, che la Chiesa chiama “comunione dei santi”, il legame tra coloro che già sono arrivati alla meta nel cielo e coloro che invece sono ancora in cammino sulla terra, magari muovendo, come me allora, i primi passi della propria vicenda umana.
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