Nell’estate di settanta anni fa una delle menti più alte del secolo, il filosofo e psichiatra Karl Jaspers, tenne a Heidelberg un ciclo di lezioni sulla «questione della colpa». Jaspers si rivolse ai suoi compatrioti sconfitti, ma con un occhio ai vincitori e alle future generazioni. Le città in macerie erano l’immagine della tragedia del nazismo e della catastrofe cui il regime hitleriano aveva condotto la Germania. Jaspers aveva lasciato Heidelberg per Basilea per non ottemperare al diktat del 1937 che imponeva ai dipendenti «ariani» del Reich Millenario sposati con donne ebree di scegliere tra l’abbandono dell’incarico e il divorzio. Non ebbe mai alcuna responsabilità nelle vicende del nazismo. La sua coerenza gli costò l’amicizia di Heidegger, il grande filosofo collaborazionista e però uomo pusillanime e miserabile.
Le colpe della Germania e dei tedeschi che sostennero il nazismo in modo attivo o passivo erano fuori discussione. Come si sarebbe potuto emendarle? Per lungo tempo gli altri popoli non avranno fiducia nei tedeschi. In più essi condividono al momento la mancanza di comunità. Il nazismo sarà sempre una questione aperta. Ma vi è una via d’uscita. Assumere il tema della colpa come proprio significa assumere «un rischio politico-spirituale sull’orlo dell’abisso».
«Se noi impariamo a discutere, non promuoveremo soltanto un legame tra noi. Creeremo la condizione essenziale per poter discutere con gli altri popoli». «In una catastrofe come la nostra ognuno può lasciarsi rifondere in vista della rinascita, senza temere di perderci in dignità». «Non c’è alcuna domanda che non debba esser posta». Le roventi polemiche e le accuse reciproche dividono più che mai la Germania. Eppure i tedeschi si appartengono gli uni agli altri.
Il nazismo ha annientato l’identità storica e culturale tedesca; questa essenza perduta può essere rifondata solo nel nuovo contesto. Il controllo delle quattro potenze vincitrici sulla Germania obbliga i tedeschi a salvarsi dalla superbia e ad imparare la modestia. È venuto meno ai tedeschi un comune fondamento etico-politico. Esso potrà rinascere solo sul terreno comunicativo e discorsivo, che metta in luce le profonde differenze tra un tedesco e l’altro. La nuova condizione, per quanto umiliante, non è stata raggiunta dai tedeschi con le sole loro forze. Un’unità imposta dall’esterno non approda a nulla. Perché ciò avvenga, perché sorga una «comunità che resiste», nessuno può essere giudice dell’altro. «Ciascuno di noi è nello stesso tempo accusato e giudice». La sincerità è la condizione perché il popolo tedesco ritrovi in se stesso la dignità perduta.
Ne deriva in embrione un’etica discorsiva che vincola un popolo intero. «È così facile difendere appassionatamente dei giudizi decisi; difficile è invece riflettere serenamente. È facile interrompere la comunicazione con asserzioni arroganti; difficile è invece penetrare al fondo della verità instancabilmente, al di là di ogni asserzione. È facile farsi un’opinione qualsiasi e irrigidirsi in essa, per risparmiarsi la fatica di rifletterci ancora; difficile è invece avanzare passo a passo, e non rifiutarsi mai di investigare ancora». Filosofia e teologia possono sollecitare questa «conversione interiore» proprio a partire dal tema della colpa.
La tradizione filosofica aveva distinto due concetti di colpa: quella morale, che contraddice il dovere; e quella giuridica, che contraddice la responsabilità verso terzi arrecando loro danno. Jaspers ne distingue quattro. La colpa criminale consiste in atti oggettivamente comprovati che trasgrediscono una o più leggi; la sua istanza è il tribunale, che commuta la colpa in una pena. La colpa politica consiste nelle azioni dei governanti e dei governati, sottoposti all’autorità dello Stato mediante l’esercizio della loro responsabilità come cittadini; la sua istanza è la forza del vincitore nella politica, interna e/o estera che sia; e al vincitore è lasciata la punizione nella sua estensione. La colpa morale addita la colpa dell’individuo per tutte le azioni di cui si rende responsabile, incluse quelle assunte obbedendo ad ordini ingiusti senza opporsi; la sua istanza è la coscienza, sostenuta dalla comunicazione con le persone più care e prossime. La colpa morale si risolve nel ravvedimento, nella necessità dell’espiazione e della rigenerazione. Infine, la colpa metafisica discende dalle interdipendenze che rendono ciascun individuo corresponsabile per tutte le ingiustizie e i torti che accadono nel mondo.
Chi non fa nulla per impedire tali torti, fossero anche i più remoti, diventa egli stesso colpevole. Giungiamo con la colpa metafisica al limite estremo di una scelta tra il sacrificio incondizionato della vita o il restare in vita perché è impossibile portare l’azione al successo. Poiché tale sacrificio ha corso in verità solo nei legami umani più circoscritti e mai nella solidarietà reciproca di tutti gli esseri umani tra loro, Dio è giudice unico della colpa metafisica di tutti. A essa può conseguire soltanto una trasformazione nell’autocoscienza umana nei rapporti con Dio. Di tutte le istanze, la colpa metafisica è la più debole, data l’insindacabilità e l’insondabilità del giudizio di Dio, e si risolve in un sentimento di giustizia e di umiltà di ciascuno verso tutti gli esseri umani e verso il mondo naturale.
La colpa metafisica è così vasta e vaga da risultare inapplicabile. La colpa politica che discende sugli individui dalle conseguenze delle azioni compiute dallo Stato non si muta necessariamente in colpa giuridica o morale per ogni singolo cittadino.
Jaspers pone in luce soprattutto la colpa morale, da cui discendono le condizioni che consentono alla colpa politica e alla colpa criminale di svilupparsi. La forza nella convivenza umana deve favorire la realizzazione dei diritti dell’uomo sottomettendo gli individui a sé e alla legge. «Tralasciare di cooperare alla strutturazione dei rapporti di forza, alla lotta per il potere nel senso di mettersi al servizio del diritto, è una colpa politica fondamentale, che rappresenta nello stesso tempo una colpa morale. La colpa politica diventa colpa morale, appena il senso della forza – la realizzazione del diritto, l’etica e la purezza del proprio popolo – viene distrutto dalla forza» che si impone senza più limite. La storia pone di fronte, perciò, a due opposte possibili società: quella liberaldemocratica e quella totalitaria.
«L’etica del politico è principio dell’esistenza dello stato, in cui tutti prendono parte con la loro coscienza, il loro sapere, il loro modo di pensare e il loro modo di volere. È la vita della libertà politica concepita come un processo continuo fatto di decadimenti e di miglioramenti. Essa è resa possibile dal fatto che tutti hanno il compito e la chance di essere corresponsabili».
Viceversa, «i cittadini sono nella maggior parte estranei alla vita politica. La potenza dello stato non viene vissuta quasi mai come cosa che li riguardi. Essi non si considerano corresponsabili, ma fanno solo da inerti spettatori della vita politica, e lavorano e operano obbedendo ciecamente. Essi conservano la loro buona coscienza nell’obbedienza, senza partecipare a ciò che i detentori del potere decidono e fanno». Da sola, la sottomissione alla forza finisce per negare il diritto. Al contrario, la sottomissione al diritto associata al suo esercizio si vale della forza per imporre il rispetto del diritto. L’una e l’altro sono un modo di far valere la forza giuridica e politica. A fare valere la forma nella colpa morale e metafisica è invece la grazia, un atto di misericordia che schiude a un’altra giustizia, quella libera dalla legge.
Di qui Jaspers giunge alla domanda cruciale: «In che senso si può giudicare una collettività e in che senso invece solo una persona singola?». Se si dà la responsabilità delle azioni di uno stato a tutti i suoi cittadini, ci si riferisce alla sola colpa politica: essa può legittimamente investire anche chi si sia opposto al regime o alle sue azioni. Le altre colpe possono ricadere esclusivamente sul singolo. Non ha senso imputare un’azione criminosa o una colpa morale o metafisica a tutto un popolo. «Non c’è mai un popolo che sia un tutto unico». Nemmeno la colpa politica, per quanto collettiva, può però essere indifferenziata, perché assume gradazioni diverse in base ai comportamenti e alle scelte di ciascuno.
La difesa dei tedeschi può consistere solo nella piena assunzione delle responsabilità individuali e nell’opera comune in direzione dell’espiazione, della riparazione e della conversione interiore come processi collettivi. Il sentimento di una colpa metafisica, che discende dalla coappartenenza di ciascun individuo o gruppo umano di fronte a Dio, può facilitare questo percorso, perché indirizza la colpa politica verso l’invisibile solidarietà di tutti gli uomini. E poiché infine l’identità di un popolo non è un dato ma un compito rivolto al futuro, nell’assumerselo interamente il popolo tedesco potrà costruire il proprio riscatto e trovarsi anche restituito al suo passato migliore.
Sappiamo che questo compito è stato assolto dai tedeschi con meno fatiche e meno difficoltà di quanto si potesse supporre nel 1946. Il nazismo, la sua guerra e la sua sconfitta furono uno stato d’eccezione: la pietra d’inciampo era immensa, e le vie d’uscita relativamente chiare. È possibile riproporre le stesse domande di Jaspers anche in situazioni decisamente più ordinarie, come nella scelta della maggioranza dei cittadini del Regno Unito in favore dell’uscita dall’Europa? Di questo parleremo.
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