Padre Ferruccio Brambillasca, superiore generale del Pontificio Istituto Missioni Estere, brianzolo di Agrate, coglie l’intenzione condivisa da tutti – nell’anno della vita consacrata – di rinnovare l’Istituto, fondato nel 1850 da monsignor Angelo Ramazzotti (1800-1861), l’iniziatore di un Seminario per le Missioni estere che diventerà, nel 1926, il P.I.M.E.
Costui, che fu uno dei migliori pastori che l’Italia abbia avuto nell’arco del XIX secolo, non andò mai in missione, in terre lontane, ma fondò il primo istituto missionario italiano e inviò in missione, ad Hong Kong e in Bengala, le prime suore italiane, le Canossiane e le Suore di Maria Bambina.
Costantemente lavorò non solo per la Chiesa missionaria, in terre lontane, ma anche qui, nelle nostre terre di antica cristianità, proponendo a clero e fedeli lo spirito e lo stile pastorale missionari, dando per primo l’esempio.
Il carisma del P.I.M.E. – la “missio ad gentes” – rimane sempre vivo e attuale, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, ma poiché questa famiglia religiosa si è arricchita di nuovi membri di altre nazioni, chiede di essere fatto proprio dagli ultimi arrivati, che non hanno mai vissuto in Italia.
È quanto ha raccomandato anche il card. Joao Braz de Aviz nell’ultimo Capitolo: “È importante per ogni istituto non mantenere le strutture, ma mantenere il carisma”. Non bisogna lavorare tanto sulla economia o sulle opere (pure importanti), ma è prioritario ravvivare l’identità, per non perdere slancio e vivacità.
Il nostro lavoro è di aiutare le Chiese non solo d’Italia ma anche di missione, a diventare più evangelizzatrici. Ormai è l’epoca in cui non siamo più solo servitori della Chiesa locale, ma animatori del suo slancio missionario. La tentazione è quella di concentrarsi sull’impegno di fondare la Chiesa, costruire edifici, organizzare la parrocchia; invece dobbiamo dare una mano alle Chiese per “uscire da sé” ed “andare verso le periferie geografiche ed esistenziali”.
Il lavoro è appena iniziato, ma è quantomai urgente: si tratta di domandarci, ad esempio, come avvicinare i non cristiani…, come annunciare il Vangelo a chi non viene in chiesa…, oltre a come proporre itinerari catechistici a chi sceglie di seguire Cristo…
La fede, condivisa con le persone che si incontrano, non può essere mai costretta: l’altro, seppur diverso per razza, religione, lingua, cultura, non è mai un estraneo, ma anzi è un fratello da amare.
Anche in campo vocazionale vale lo stesso principio: testimoniare l’entusiasmo della propria vocazione, il desiderio di comunicare il Vangelo a tutti, porta anche molti giovani a seguire l’esempio.
Così pure la testimonianza della povertà, della sobrietà nella gioia ha un valore. Se i missionari si preoccupano dei problemi interni all’Istituto, perdono di fascino agli occhi del mondo.
Oggi il P.I.M.E. conta circa 500 membri, diffusi in 18 Paesi, con una prevalenza per l’Asia, dove i cristiani sono solo un “piccolo gregge”. L’augurio per questo e tutti gli istituti missionari è di monsignor Corti: “Abbiamo bisogno di un cristianesimo incandescente; se è pallido, non è Vangelo”!.
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