Sulla Gazzetta ufficiale il 15 aprile è apparso, dopo l’approvazione del Parlamento, il testo di revisione della parte II della nostra Costituzione. Il progetto governativo è ispirato innanzitutto al principio del superamento dell’attuale bicameralismo paritario indifferenziato, perfetto, unico invero al mondo, con la soppressione della doppia fiducia, da cui gli inevitabili inconcepibili ritardi per decenni nella formazione e approvazione delle leggi, il bizantinismo delle continue revisioni dei testi, la sovrapposizione e i contrasti, più che l’armonizzazione dei ruoli.
Gli eccessi dell’attuale parlamentarismo possono favorire l’idea di una democrazia astratta, certo si oppongono all’esigenza di una governabilità del Paese più confacente all’attuale situazione di crisi. Si è obiettato da chi avversa il progetto di una tentazione autocelebrativa del riformismo, dell’intento mirato di consolidamento del potere di un governo, ma indubbiamente una soluzione era ormai indifferibile; nessun rimando più alla calende greche, dopo l’estenuante e inconcludente iter dei precedenti progetti di revisione via via naufragati.
È vero che l’attuale Parlamento è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, perché costituito sulla base della legge elettorale del Porcellum (modo di assegnazione del premio di maggioranza, assenza del voto di preferenza); tuttavia la stessa Corte ha ritenuto, in ossequio a un vitale principio di continuità istituzionale, di riconoscerne le funzioni istituzionali (per alcuni da interpretare solo come ordinarie), la perdurante legittimità. Dopo il fallimento del patto del Nazareno e lo sfaldarsi del fronte revisionista ogni differimento dell’idea di unità politica, di condivisione delle regole nell’affrontare il problema istituzionale risultava ormai pura utopia. Conseguenza la paralisi, il trionfo del potere dei veti.
Altri provvedimenti contemplati: il potenziamento dell’iter legislativo, la limitazione dei decreti legge, il rilancio degli istituti di partecipazione popolare, l’esigenza di chiarire e meglio definire i rapporti Stato-Regioni, con l’obiettivo strategico di portare al centro del sistema parlamentare gli interessi delle istituzioni territoriali, unica possibile ragione di una seconda Camera. Si innalzano alcuni quorum (vedi l’elezione del Presidente della Repubblica), si introducono nuove garanzie (vedi il ricorso diretto delle minoranze alla Corte Costituzionale sulle leggi elettorali). Lo sbarramento limitato al 3% assicura coll’Italicum un ampio pluralismo. Compare una nuova disciplina del referendum propositivo, rafforzato è il referendum abrogativo; nuovi criteri riguardano le proposte di iniziativa legislativa popolare. Soprattutto l’organizzazione costituzionale risulta più funzionale dell’attuale e meno costosa. E in verità, se il Governo ha proposto, è il Parlamento che ha disposto, introducendo 90 emendamenti ; 27 articoli risultano cambiati sui 41 iniziali.
Certo sarebbe stato meglio nel delineare la nuova situazione per il Senato seguire il modello del Bundesrat tedesco. Su composizione e competenze il discorso è tutto aperto. Non è chiaro perché siano ancora previsti i senatori presidenziali. Non viene affrontata la riforma delle Regioni a statuto speciale (in un caso tocca anche le relazioni internazionali). Il referendum concerne soltanto le competenze delle regioni a statuto ordinario. Critiche si possono muovere sulla qualità letteraria del testo, ma non si tratta certamente di un fenomeno nuovo. Ma si impone il criterio della supremazia legislativa statale. Ben positivi appaiono il blocco al finanziamento dei gruppi, l’unificazione amministrativa di Camera e Senato .
Si presentano altri dubbi: nella rappresentanza del Senato prevarrà la lealtà partitica o quella territoriale? Pasticciata per ragioni di compromesso è la norma sulla composizione del Senato. Possibile è una conflittualità tra i due organismi. Si accusa che con l’abolizione del Cnel, più volte messo in discussione, non si farebbe che assecondare un processo di disintermediazione entro i rapporti sociali ed economici . La soppressione delle Province si aprirebbe a quegli enti di area vasta, che si collocano in fascia intermedia tra i Comuni e le Regioni. In primis va comunque affermato che uno dei benefici maggiori raggiunti è la riduzione dei costi della politica.
Comitati sono stati costituiti per il sì e per il no in sede di referendum in tutta Italia. Si spera che il confronto favorisca la massima chiarezza in merito alle linee del provvedimento, non schieramenti radicali di parte a prescindere da ogni seria e non preconcetta valutazione di merito.
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