“Venezia è la metafora dell’Italia, un paese che non riesce a passare dalla cultura dell’emergenza a quella della manutenzione”. Questa lapidaria battuta, che nel corso degli ultimi decenni ha trovato troppo spesso drammatica conferma, me la disse, più di una ventina di anni fa, un alto funzionario della sede Unesco della Serenissima allora alle prese con l’avvio del faraonico progetto Mose, ancor oggi incompiuto dopo aver disseminato di scandali e ruberie – trasversali a tutte le forze politiche – il suo faticoso cammino.
Alla verità amara di quelle valutazione non sfugge neppure Varese che in questi giorni di inizio estate sta preparandosi a una nuova stagione amministrativa nel segno di un’annunciata discontinuità rispetto a un passato punteggiato di disattenzioni grandi e piccole, sciatterie e inerzie di diversa declinazione e grandezza: come strade e marciapiedi in abbandono; un’alta percentuale di tombini intasati; muri orrendamente sconciati dai graffiti, piccole discariche a cielo aperto; intere aree cittadine in semi abbandono; illuminazione pubblica a pelle di leopardo con vie e brani di quartieri e castellanze al buio per settimane. Un problema quest’ultimo che si trascina dai tempi delle giunte Fumagalli e che si ripresenta a cadenze costanti.
Ci fu un momento (prima giunta Fontana) che per oltre un anno l’ingresso serale da viale Belforte era fiocamente illuminato solo dalle luci di alcuni negozi e concessionari d’auto che hanno sede sul lato sinistro della strada. Contai nella circostanza la bellezza di ben ventitré lampioni spenti. La risposta alla mia segnalazione da parte dell’assessorato ai lavori pubblici fu lapidaria quanto burocraticamente ridicola e indisponente: “In effetti in quella zona abbiamo delle criticità”. Sono risposte come questa che i varesini non sono più disposti ad accettare, men che meno da un’amministrazione che dichiara di giocare il suo futuro sul cambiamento, sia nello stile sia nel merito.
Nell’ora della razionalizzazioni degli uffici comunali, della revisione delle deleghe, della puntuale ricognizione su entrate e uscite, della scelta – davvero non semplice – dei nuovi assessori, donne o uomini che siano, la cosa più importante da conoscere sono le reali condizioni di salute della città e della sua amministrazione. In base alla diagnosi, che mi auguro lucida e impietosa, si dovrà realisticamente decidere cosa si potrà promettere e fare e cosa invece no. Per cercare di affrontare la lunga serie di criticità accumulate nel tempo, durante l’accidiosa gestione dell’esistente da parte delle precedenti amministrazioni, i prossimi cinque anni sono un tempo troppo breve. Alcuni nodi gordiani che stringono alla gola Varese come la sistemazione delle stazioni in vista del completamento dell’Arcisate – Stabio; l’afflusso veicolare dall’autostrada direttamente in centro; la sistemazione di Piazza Repubblica; il recupero delle aree dismesse; la revisione del Pgt, il risanamento del lago richiedono valutazioni attente e studi rigorosi. Non, per intenderci, come quelli che hanno generato il masterplan dell’ex piazza mercato. In tutti questi casi la fretta sarebbe una pessima consigliera e il conseguente saldo politico sicuramente in rosso.
La giunta esordiente dovrà giocoforza operare in sincrono su due registri di lavoro: l’oggi delle sin qui neglette manutenzioni ordinarie e straordinarie e il domani dei progetti strategici capaci di tratteggiare finalmente il volto di un’altra e più vivibile Varese. Nella serena consapevolezza che i tempi lunghi saranno accettati e capiti dai cittadini unicamente se si vedranno cambiamenti e progressi concreti nel giorno dopo giorno della quotidianità urbana.
You must be logged in to post a comment Login