Ho scelto di concedermi una vacanza dopo la grande vicenda preelettorale. Oggi dunque niente politica con due eccezioni: l’augurio di buon lavoro al sindaco Galimberti e il risultato del ballottaggio a Casina di Reggio Emilia, dopo il record del pareggio a quota 1164 voti per le due coalizioni che si contendevano il Comune, che ha poco più di 5000 abitanti. Come a Varese dopo decenni di sinistra c’è stato il ribaltone, ma a vincere è stato il centro.
E già che ci sono mi fermo nell’Appennino reggiano per una notizia di portata veramente storica perché relativa alla nascita della democrazia occidentale da sempre identificata nella ”Magna Charta delle libertà”, che riconosce i diritti dei cittadini, promulgata nel giugno del 1215 dal re inglese Giovanni Senzaterra.
Un primato che oggi viene messo in discussione perché 8 anni prima di re Giovanni, quindi nel 1207, due nobili dell’Alto Appennino come dimostrano inoppugnabili documenti riconobbero gli stessi diritti alle loro genti con lo “Statuto di Vallisnera”.
Una vicenda che non sto a raccontare data la sua dimensione, ma che con un link metto a disposizione degli appassionati di storia – a Varese sono numerosi e di notevole profilo – sottolineando che è stata pubblicata da Redacon, attento e diffuso quotidiano on line dell’Appennino.
Termino con un altro riferimento emiliano, che ci ricorda come in tutte le collettività ci siano luoghi, punti di incontro, di “comunione” sociale rimasti immutati nel tempo e che presentano le stesse caratteristiche in qualsiasi regione si trovino. Si tratta delle farmacie. Nella mia famiglia ogni tanto riemerge in proposito un amarcord che riporta tra noi un congiunto che abbiamo molto amato.
Anni or sono entrò nella farmacia di Casina mio suocero, Primo Boni, per acquistare un medicinale, ma subito si bloccò dopo aver salutato il dottor Ireno, suo carissimo amico. Primo con imbarazzo disse a Ireno che non si ricordava più il nome del farmaco che doveva acquistare.
Il farmacista affidandosi alla memoria cominciò a fare l’ elenco delle medicine che Primo di solito acquistava per sé o per i famigliari. No, non c’era quello che serviva, ma improvvisamente ecco Primo offrire una traccia: “Mi ricordo che ha un nome richiamato nel “Salve Regina” della Madonna”. Silenzio assoluto in farmacia dove c’erano diversi clienti assai già molto incuriositi e da quel momento ancora più coinvolti e in attesa di sviluppi che arrivarono subito perché Primo e il dottor Ireno cominciarono a recitare ad alta voce il Salve Regina. In edizione latina, scandendone chiaramente le parole e con pause per dare il tempo a Primo di trovare il collegamento con il farmaco. Quando in una atmosfera surreale si arrivò ai “misericordes oculos” Primo esultò: “Ci siamo!”, ma la ricerca nella memoria di mio suocero naufragò presto e allora il dottor Ireno, dirottata l’attenzione sul termine oculos fece un minuzioso elenco di medicinali, avendo la simpatia se non il tifo di una platea che dall’iniziale silenzioso sostegno psicologico ai due personaggi a un certo punto passò all’aiuto concreto: alcuni clienti addirittura presero ad evocare farmaci non più in commercio ma usati con successo da loro parenti e amici per curare gli occhi.
Dall’inizio della richiesta di Primo era passato più di un quarto d’ora, recita ad alta voce del Salve Regina compresa, quando Ireno decise di telefonare a casa nostra. Problema risolto: “Il nonno? Oculos? Gli occhi? No, gli brucia un po’ lo stomaco, ci ha detto che sarebbe venuto da lei ad acquistare l’Alucol consigliatogli dal medico”.
Primo uscì dalla farmacia prendendosela con l’età, cosa che avrebbe fatto, anche scherzandoci, sino a 98 anni quando, eravamo all’inizio del secolo, se ne andò in piena serenità e dopo aver chiesto al parroco il saluto pasquale delle campane al momento dell’uscita del feretro dalla chiesa con meta il cimitero. Perché? “Perché per un cristiano la morte è l’inizio di una nuova vita” disse il nonno.
Il mondo, la società sono cambiati molto, abitudini, tradizioni sono solo un ricordo, si vive di corsa, siamo talmente tecnologici che noi anziani a volte se ci confrontiamo con le attuali giovani generazioni ci si sente dei Flintstones, davvero dei comici personaggi dell’Età della pietra. Mi è però venuto di pensare che nel turbine d’inizio del terzo millennio le farmacie non hanno perso la loro identità, e al pari dei tempi andati sono oggi luoghi della cortesia, dei toni sommessi che riportano i rapporti umani a dolcezza, discrezione, comprensione, solidarietà. Mi piace davvero considerare le farmacie piccole chiese laiche, dove è coltivato il rito della cortesia, ci si saluta tra estranei, non si usano i gomiti, si riceve aiuto, ci si confida con il farmacista e gli altri evitano di ascoltare.
E se poi c’è tempo e possibilità e non abbiamo preoccupazioni di tipo medico allora le possiamo fare anche due chiacchiere non solo sulla salute.
Insomma ancora oggi, anche a Varese, si è ai tempi del dottor Ireno e di Primo. E ancora oggi quanti farmacisti con clienti distratti o smemorati hanno una pazienza infinita. Certo il computer evita loro recita di preghiere e ricerche corali del nome di un farmaco, ma nella sostanza nulla è cambiato di quanto accadeva nelle farmacie, luoghi sacri ai rimedi ma dove c’era ed è rimasta pure la possibilità di stemperare eventuali preoccupazioni per la salute.
Sono un mondo piccolo, discreto, amico. Che evidentemente vogliamo conservare. Perché? Lo si capisce subito quando si esce dalla farmacia e ci si ritrova all’istante nella frenesia, nella competizione, nelle angosce e nell’aridità della città moderna.
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