(S) Vuoi finalmente dirci il tuo pensiero sulle elezioni locali o continuerai ad evadere verso argomenti futili come le magliette dei tifosi o troppo difficili per te come il referendum Brexit?
(C ) Dall’ultimo sondaggio Brexit ricavo due modeste considerazioni: anche la Gran Bretagna è spaccata in due, tra una evidente convenienza economica culturale politica a restare e una antica tendenza isolazionistica, che sarebbe la natura identitaria britannica, forse essenzialmente inglese, ad uscire. La seconda osservazione è l’influenza emozionale sui sondaggi, la riprova verrà dal voto, dell’assassinio della deputata Cox. Anche nella patria dell’utilitarismo, contano i fattori emozionali.
Tornare alla questione di casa nostra, al voto locale, non significa cambiare argomento. Attenuare o rafforzare l’identità nazionale è uno dei temi caldi del nostro tempo, ma lo stesso si può dire di ogni altro genere di identità, che considero componenti, quasi ingredienti, di quello che mi interessa davvero, che è l’identità personale.
(O) Hai una bella pretesa, collegare una serie di componenti sociali, che tu chiami identità, con un livello di coscienza che rimane insondabile, ciò che tu chiami identità personale.
(C ) No, non ho questa pretesa. Cerco di ricavare dai comportamenti, materialmente, quindi scientificamente rilevabili, che cosa fa prendere decisioni importanti. Senza voler ficcare nel cervello di qualcuno un sensore per vedere quale neurone ‘si accende’ al momento del voto, non mi pare inutile continuare a confrontare, con i modesti mezzi dell’indagine sociologica, la coerenza o la deviazione rispetto alle attese, dei comportamenti elettorali.
(S) Rispetto a quindici giorni fa non s’è scoperto niente di nuovo: si vota più contro le magagne di chi ha governato che non per i risultati ottenuti, per i programmi, nemmeno per l’affidabilità delle singole persone, pur essendo il ballottaggio dei sindaci molto personalizzato.
(C ) Proviamo ad approfondire, partendo dalla vera sorpresa, che è stata Torino. Qui la trasformazione del PD da partito operaio a borghese era stata avviata da tempo, con grande sagacia e prima ancora della presenza di Fassino, che oltre tutto è stato un sindaco stimato, che ha realmente raccolto i frutti di un lavoro decennale di trasformazione urbana. Quindi meritevolmente ha raggiunto un alto consenso anche tra imprenditori e in particolare tra commercianti e artigiani, ma…
(O) Ma ha perso i giovani e i meno abbienti, come pudicamente i sondaggisti chiamano i poveri, conservando invece la primazia tra anziani e pensionati. Un bel viatico per il futuro?
(C) Ma no! L’elemento determinante è stato il massiccio trasferimento di voti dal centrodestra ai 5stelle, a dispetto della presunta moderazione del sindaco Fassino, che aveva ben affascinato anche NCD, convintamente, penso non opportunisticamente, schierato fin dall’inizio con il centro sinistra. Invece gran parte del centro destra e più coerentemente una parte della sinistra-sinistra ha scelto i 5 stelle. Il vecchio adagio: “il nemico del mio nemico è mio amico”. Questa anomalia è resa possibile dal fatto che l’elettore non pensa al partito come a qualcosa che gli debba corrispondere come pensiero e opere, si limita a credere o no alla ‘narrazione’. Se non ci crede o nemmeno la capisce il voto è in totale libertà.
(S) Che significa ‘narrazione’? Se si tratta di favolette, Berlusconi ce ne ha raccontate tante, per vent’anni, ma non ne conosce più di nuove, non c’è da stupirsi che Renzi, Grillo e anche Salvini ottengano maggior ascolto di lui o di Alfano o degli estremisti. I partiti provano pure a rinforzarsi con le liste civiche, che sono ben altra cosa che la partecipazione della società civile, o no? Però il risultato non convince la metà degli italiani che, nonostante tutto questo, nonostante quella che ho chiamato la carica degli onesti, non votano. La prossima volta ce ne sarà uno in più: il sottoscritto, per la semplice ragione che non voglio accollarmi la responsabilità morale di aver avallato le brutture, siano malefatte o anche semplicemente errori di incompetenza, di costoro. Corrotti e incompetenti li metto sullo stesso piano.
(O) Non accetterò mai una simile forma di rassegnazione, anche in politica, benché non ne faccia una ragione di vita, né la chiave che risolve tutti i problemi. So che non si deve, soprattutto non si può tornare ai partiti della prima repubblica che si atteggiavano a ‘valoriali’: il cristianesimo, il comunismo, il riformismo, il nazionalismo per non dire fascismo, il liberalismo, il laicismo, non erano solo facciate, ma hanno lentamente perso forza, di fronte al crescere del ‘pensiero unico’. Sono convinto che non si possa tornare indietro, eppure qualche principio pratico non solo vale ancora, ma deve essere potenziato: penso alla responsabilità individuale, alla sussidiarietà, al primato della società sullo Stato, alla valorizzazione del capitale umano: non sono principi ideologici, sono traducibili immediatamente in proposte operative, con benefici misurabili in termini di risparmio di spesa ed di aumento dei posti di lavoro. Non è la prima volta che lo dico, bisogna concepire la politica non come una lotta per l’occupazione di spazi, ma come la creazione di processi, secondo l’ormai famosa tesi di Papa Francesco che il tempo è più importante dello spazio.
(C) Ecco lo spunto che mi mancava per spiegare la mia concezione dell’identità personale: non una macedonia di fattori diversi, così numerosi e contrapposti da rendere la persona irriducibile ad ogni possibile appartenenza: sociale, economica, religiosa, politica, nazionale, linguistica, culturale, di età, di genere o di gender e di quanto altro si può immaginare, ma quella coscienza di sé (un altro nome potrebbe essere libertà) che viene prima di tutte queste qualità contingenti, che non esistono in sé, ma solo nelle relazioni con le persone concrete. E su questo che inciampano i partiti di oggi, quando cercano di accreditarsi per alcune di queste caratteristiche o di imporne una come egemonica: l’egemonia è un’ idea gramsciana che ha tenuto insieme il PCI e lo ha fatto crescere ben oltre i confini della classe operaia, che poi si è stemperata nell’idea di superiorità morale della fase successiva a Tangentopoli, ma che è ormai travolta dall’incapacità del PD (come di ogni proposta politica europea) di porre rimedio alla grande crisi. La conseguenza è che le vittorie politiche si presentano come effimere, determinate da fattori contingenti, talvolta contraddittori, come è apparso evidente proprio nell’ambito della nostra provincia. Renzi li definisce fenomeni locali, tentando di ridurne il significato e sperando di portare il giorno del giudizio al referendum costituzionale. In realtà emerge così, dall’apparente disorganicità dei risultati, il significato vero: le risposte della politica non colgono in pieno la complessità della domanda di rinnovamento del rapporto tra persona e istituzioni, che non si accontenta di moralismo e di ricambio generazionale. La gente, meglio, la persona, vuole di più, un di più ancora da scoprire. Questo sì che è un compito per una nuova generazione, che non lasci la politica e le istituzioni nel loro non più splendido isolamento, nell’inutile lotta per conquistare spazi sempre più vuoti.
(O) E a proposito di ‘isola’, che non vinca la Brexit, perché anche un’isola non è solo un’isola. Quanto all’identità nazionale, ben poco rinvigorita dall’appello a rivestirsi di azzurro e già oggi sminuita dal confronto con quella irlandese, ne riparliamo dopo la partita di lunedì.
(O) Onirio Desti, (C ) Costante, (S) Sebastiano Conformi
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