Dopo l’età delle ideologie che conclude il processo della secolarizzazione, si fa di nuovo strada nella società il senso religioso, anche se non sempre si definisce in una religione, ma rimane come un bisogno profondo del sacro, come ricerca della trascendenza, come bisogno di un Infinito, di un Assoluto. È questa l’impressione che rimane dopo avere letto le diciannove interviste a critici d’arte, direttori di gallerie, artisti, che Michela Beatrice Ferri, docente di filosofia nei licei, e collaboratrice di diverse riviste, raccoglie in questo libro: “Sacro contemporaneo. Dialoghi sull’arte” (Ancora – Milano).
La sua abilità è quella di sapere dialogare con ciascuno degli interlocutori a partire dalla loro esperienza, variando e rinnovando, di volta in volta, le domande. Infatti l’Autrice non usa l’espressione “intervista” ma “dialogo”, perché il suo è un discorso continuo, nel quale si sente impegnata sia pure attraverso diversi momenti e frammenti ancora da comporre in unità. Ogni intervento è presentato con una scheda introduttiva, per fare conoscere la biografia, gli scritti e le opere dell’intervistato.
Per quanto riguarda gli artisti un inserto a colori presenta alcuni loro lavori, per cui il lettore può verificare le intenzioni e i ragionamenti espressi nella conversazione verbale nella concretezza dei risultati.
Non è possibile presentare tutti i contributi raccolti, per cui segnalo quelli, che mi sembrano più significativi.
L’intervento di padre Andrea dall’Asta, direttore della galleria San Fedele di Milano e della galleria Lercaro di Bologna, fa come da introduzione. Si rileva che “esiste una mediocrità devastante, non solo nel campo delle arti visive, ma anche in quello architettonico” e che poche sono le opere di valore estetico nelle chiese, per cui è necessario pensare ad una “teologia estetica” capace di raccordare la fede ed i nuovi linguaggi espressivi, perché “questo dialogo tra arte e fede non può essere confinato solo in un passato glorioso”.
Poi esemplifica presentando la “Salle des départs” (obitorio) di un ospedale francese, realizzata da E. Spalletti che ha costruito un ambiente sereno, dove volume, spazio e colore diventano richiamo di una dimensione invisibile, fanno immaginare un al di là, senza avere bisogno di immagini figurate. F. Tedeschi dell’Università Cattolica ricorda che Marinetti e Fillia hanno tentato “un’arte sacra futurista”, ma non sono stati compresi. Timothy Verdon, direttore del Museo dell’opera del Duomo di Firenze, ritiene che il dialogo tra la Chiesa e l’arte contemporanea, “sia difficile, ma possibile”, in quanto l’uomo è stato creato ad immagine di Dio e quindi le immagini che l’uomo crea sono un prolungamento della creazione divina.
Giuliano Zanchi, direttore del museo Bernareggi di Bergamo, rileva la necessità che le immagini siano correlate con l’ architettura che le ospita. Il saggio della Ferri su E. Cucchi, che sostituisce l’intervista, presenta questa correlazione nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, costruita sul monte Tamaro tra Lugano e Bellinzona, nella quale le sculture e le vetrate dell’artista bene si integrano nell’architettura di M. Botta.
Un altro esempio di questa collaborazione è la cappella San Giovanni XXIII dell’ospedale di Bergamo dove nell’architettura costruita da Traversi, due artisti S. Arienti e A. Mastrovito, con la decorazione delle pareti e delle vetrate dell’abside hanno disegnato come un giardino al centro del quale sta Gesù Crocifisso, ma con un volto non straziato, perché, il Cristo con la sua morte è entrato nella gloria; anche nel volto di Maria “non vi è niente di urlato, la sofferenza è negli occhi”. D. Coltro presenta, usando la tecnologia elettronica, un’installazione di dodici quadri elettronici, che nel loro insieme costruiscono una Croce, ciascuno con scene di cielo cangianti; siamo al vertice della rappresentazione sinbolica: “per crucem ad lucem”. N. Evangelisti commenta le sue “sculture di luce”, che attraverso video-proiezioni, ha costruito sulle pareti di tre chiese a Bologna: queste costruzioni multimediali di luci e suoni “in continuo mutamento e ridefinizione, ora liquide e fluide, ora infuocate e ardenti”, sono come “un percorso di trascendenza verso la smaterializzazione”. R. Papa della Università Urbaniana, che è anche un artista, sviluppa un’analisi sull’antropologia e sociologia delle religioni per individuare le caratteristiche del sacro contemporaneo, constatando che la sua rinascita attuale va verso “il sacro neopagano”, che “l’artista è oramai diventato uno sciamano” solo capace di provocare emozioni. Bisogna distinguere tra “sacro” e il “sacro cristiano” perché il sacro cristiano, come afferma Guardini, presuppone una visione cristiana del mondo.
Il cristianesimo ha costruito nella storia come “un sistema d’arte” che comporta quattro “elementi ineludibili: figurativo, narrativo, universale, bello” che possono variare nello stile, ma debbono coesistere per creare “arte cristiana”.
Nella conclusione M. Ferri non riduce a sintesi la ricchezza del materiale raccolto, non era sua intenzione concettualizzare e definire il “sacro contemporaneo”, ma di problematizzare l’argomento. Le esperienze e i pareri espressi sono stati diversi e talora opposti, ma si può constatare che il mondo contemporaneo fornisce all’artista materiali e tecniche nuove, apre nuove prospettive, in una società che si è differenziata, in bene o in male, dalle precedenti.
Ritornare al passato, con il neogotico o il neobarocco, significherebbe ammettere che il Vangelo non sa dialogare con la contemporaneità. Ma tutto l’insegnamento della Chiesa, dal Concilio Vaticano II a papa Francesco, come è documentato in diversi contributi, si muove proprio nel senso opposto.
Occorre, però, tenere presente l’osservazione espressa da E. Pontiggia, dell’Accademia di Brera: “L’arte sacra è una forma d’arte, e l’arte la creano solo gli artisti”, e non dimenticare che se un’opera d’arte dev’essere spiegata per essere capita ha perso la sua leggibilità.
Nelle foto la chiesa di Santa Maria degli Angeli sul monte Tamaro di Mario Botta
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