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Cultura

GADAMER E L’INTERPRETAZIONE

LIVIO GHIRINGHELLI - 16/06/2016

gadamerNella filosofia del Novecento Hans Georg Gadamer (1900-2002) si presenta come l’esponente massimo di quell’apologia della tradizione umanistica, che è minacciata nell’età moderna dal progresso delle scienze tecniche. La chiave di volta per lui non consiste nel metodo, quanto nell’interpretazione.

L’universalità dell’ermeneutica fonda così le scienze umane, cui spetta d’offrire un radicamento storico ed esistenziale alle scienze della natura. Le esperienze estetica, storica e linguistica risultano pertanto esperienze extrametodiche della verità nella decostruzione delle pretese di oggettività e realtà. L’orizzonte di comprensione è dato dal linguaggio: “L’essere che può venir compreso è linguaggio… Ogni esperienza del mondo esige di necessità una mediazione linguistica “. Un testo o un evento è comprensibile e interpretabile solo in quanto si dà un linguaggio e come linguaggio. Linguaggio che risulta una versione aggiornata del trascendentale kantiano, in quanto condizione generale dell’esperienza.

Già Heidegger riconduceva l’intero rapporto dell’uomo con il mondo al circolo ermeneutico. Interpretare significa far entrare in gioco i propri “preconcetti” al fine di far parlare realmente per noi il contenuto del testo. “Nessun testo e nessun libro parlano se non parlano una lingua che raggiunga l’interlocutore”. L’interpretazione deve trovare il linguaggio giusto.

Al fondo noi non possiamo mai strapparci dalla tradizione, bensì interpretare gli eventi solo all’interno dell’orizzonte determinato dalla nostra appartenenza alla tradizione. Il nostro modo di intendere infatti non è mai logicamente puro, neutro, incondizionato. Non si parte da una tabula rasa priva di condizionamenti e di certezze pregresse. Portiamo sempre in noi una traccia del passato. Ogni precomprensione risulta un pregiudizio e la tradizione è una rete di pregiudizi.

“Chi non vuol riconoscere i giudizi che lo determinano non saprà vedere neppure le cose che alla luce di essi gli si mostrano” (Verità e metodo, 1960). Nonostante l’Illuminismo abbia dichiarato guerra al pregiudizio. Voler raggiungere la verità eterna significa raggiungere il puro vuoto della mente. Questo non vuol dire senz’altro restare attaccati con caparbietà e presunzione ai pregiudizi, bensì metterli in gioco, esporli ai dubbi. La semplice presenza dell’altro ci aiuta a scoprire la nostra parzialità, per disfarcene. La tradizione non risulta mai univoca, né chiusa, bensì implica una molteplicità di voci e il capire provoca una fusione di orizzonti. La verità non è da considerare come monologica (irrimediabile tendenza della verità scientifica), ma come dialogica: è il risultato dell’intendere e interpretare in comune.

Il linguaggio è il mezzo del colloquio fecondo che noi istituiamo con la tradizione, non strumento, ma dimensione. L’esistenza dell’uomo è da concepire come apertura definita dalla sua linguisticità.

Contro lo storicismo relativistico si pone il problema specificamente ermeneutico della comprensibilità e interpretabilità di monumenti e testimonianze del passato e l’analisi della costitutiva storicità dell’esistenza non ce la fa considerare come un limite. La verità non si riconduce a una forma astratta, bensì consiste nel senso della possibilità che l’uomo ha di farne concretamente l’esperienza.

Per quanto concerne il nostro accostarci all’opera d’arte è un processo ed evento, di cui l’uomo non è un mero spettatore, perché vi si trova coinvolto (vedi l’analisi gadameriana della nozione di gioco). Kant nella Critica del Giudizio giudicava invece l’arte come qualcosa privo di verità, solo in grado di produrre un sentimento: in quest’ottica la valorizzazione del genio e del gusto.

Con Gadamer si ha il recupero del concetto greco-platonico di logos e di dialettica, mentre riappare il concetto aristotelico di phronesis nel senso di una saggezza intellettuale e pratica. Scopo essenziale il ricondurre il mondo tecnico a fini spirituali. L’etica con lui si rifonda sul dialogo come capacità di ascoltare gli altri.

Laureato con Paul Natorp, filosofo del linguaggio e neokantiano, Gadamer fu poi influenzato profondamente dal pensiero di Heidegger, con cui conseguì la libera docenza nel 1929, per divenire poi ordinario di filosofia dal 1939 a Lipsia, Università di cui divenne anche rettore. Passò poi a Francoforte e a Heidelberg. Fondatore e direttore della rivista Philosophische Rundschau, dal 1973 è stato anche accolto nella nostra Accademia dei Lincei.

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