Visti uno per uno la campagna per il voto pro o contro la permanenza nell’Ue (la cosiddetta Brexit), ormai imminente in Gran Bretagna, le minacce che vengono da Berlino a questo o a quello Stato membro che non fa ciò che la Germania vorrebbe facesse, la crisi del “renzismo” in Italia e gli scioperi in corso in Francia contro la riforma del lavoro possono sembrare singoli seppur grandi problemi di ogni singolo Paese. Visti invece nel loro insieme assumono un altro aspetto rivelandosi come episodi di un solo grande processo: la ridislocazione di forze in atto dentro l‘Europa. Un processo spinto da due eventi storici: in primo luogo l’avvenuta emancipazione della Germania dai vincoli che le derivavano dal suo essere erede della Germania nazista, e in secondo luogo l’ormai crescente disimpegno degli Usa dal Mediterraneo.
Che la Germania sia senza paragoni il maggiore Paese europeo in termini sia demografici che economici non è un’ipotesi bensì semplicemente un dato di realtà. Che trovandosi tra l’altro al centro del Continente anche per questo motivo tutto ciò che fa abbia contraccolpi dal Baltico al Mediterraneo è un altro dato di realtà. Poi si tratta di vedere quali conseguenze trarne, ma solo a valle della presa di coscienza di tale stato di cose. Nei dodici anni circa (1933-1945) in cui fu in mano a Hitler, la Germania accumulò su di sé colpe tali quante ne bastarono per farne per quasi settant’anni un… sorvegliato speciale che sapeva bene di doversi sempre muovere in punta di piedi. Anche per questo due generazioni di europei si sono abituate ad avere della Germania una visione per così dire “demoltiplicata”. È una visione che oggi è urgente cambiare.
La pretesa che l’Unione Europea vada ancora avanti sulla base di un sistema di trattati pensato quando c’era ancora la “Cortina di ferro” è un’altra fondamentale distorsione rispetto alla realtà dei fatti. Quale che ne sarà l’esito, il voto del referendum in Gran Bretagna pro o contro la “Brexit” segna comunque l’irreversibile svanire di tale pretesa. Si fa da varie parti una campagna intimidatoria contro l’eventualità che Londra esca dall’Unione. Diciamoci chiaro che qualcosa cambierebbe, ma nient’affatto in modo catastrofico. Non siamo più ai tempi in cui nacque la Comunità Economica Europea, Cee. Allora ciò cui innanzitutto si mirava era la creazione di un mercato comune di dimensioni paragonabili a quello degli Stati Uniti. E infatti, non a caso, più spesso che di Cee si parlava allora di Mercato Comune Europeo.
Oggi la questione delle dimensioni dei mercati pesa poco: il mercato sia dei manufatti che dei capitali è comunque globalizzato alla scala planetaria. In quanto mercato comune l’Ue stessa ha tutto l’interesse a fare accordi anche con partner economici che non ne sono membri. Perciò, da questo punto di vista, che la Gran Bretagna sia dentro o fuori dell’Ue conta ben poco. Il giorno che ne fosse fuori, l’Ue farebbe con Londra accordi analoghi a quelli già vigenti con la Svizzera che pur non facendo parte dell’Unione è integrata nel suo spazio economico. Più che come mercato comune l’Ue ha un ruolo da svolgere come motore di ammodernamento e di riequilibrio del mercato mondiale, di cui è uno dei tre o quattro attori primari. Questa sarebbe la sua parte, e auguriamoci che la faccia.
Quanto sta accadendo è allora irrilevante da ogni punto di vista? No di certo, tanto più per il nostro Paese, uno dei maggiori dell’Unione e l’unico membro del G 7 ad essere bagnato soltanto dal Mediterraneo. Molta dell’attualità politica italiana diventa meno casuale e meno incomprensibile se la si coglie come un effetto degli scontri in atto in sede europea, ma non solo, per schierare l’Italia da una parte o dall’altra. Ovviamente il nostro Paese avrebbe il diritto e il dovere di scegliere da sé dove e come stare sul campo. Ciò implicherebbe un dibattito nazionale di cui non si vede traccia, e che d’altra parte Renzi di certo non favorisce: in sintonia con la sua personalità e la sua cultura politica anche in questo caso la risposta è, “Lasciate fare a me”. Visti sin qui i risultati non si capisce perché mai.
Per ovvi motivi climatici l’estate nella quali siamo ormai entrati sarà anche l’alta stagione dei flussi migratori non autorizzati attraverso il Mediterraneo, vicenda nella quale dramma umano, generosa solidarietà, sordidi interessi, organizzazioni criminali, incompetenza e irresponsabilità dei governi s’intrecciano strettamente. All’ombra dello sfruttamento mediatico di tale fenomeno, nonché della consueta enfatizzazione televisiva di coppe e di campionati mondiali di ogni genere, nel campo ben più sostanziale dei rapporti di forza tra gli Stati si sta in questi mesi giocando una partita troppo importante, in sede sia europea che mondiale, perché si possa consentire che qualcuno se la giochi pro domo sua a porte chiuse.
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