“Abitare è essere ovunque a casa propria”. L’attuale mostra del Ma*Ga di Gallarate dedicata a Ugo la Pietra, artista, designer e noto architetto impegnato – a partire dagli anni Sessanta- a farsi osservatore della città e delle sue periferie, dei suoi orti urbani non meno che degli spazi cittadini, ci richiama nel titolo alla condizione essenziale dell’abitare, quella dell’identificazione di un luogo, anche aperto, assimilabile affettivamente a quello domestico.
Capita di doversi chiedere, in questi giorni di progetti, sogni e promesse dei politici sull’avvenire della nostra città, se davvero ci siamo sentiti fino a qui, negli spazi della nostra Varese, in questi anni già di per sé inquieti e segnati da tante difficoltà, come a casa nostra.
E capita soprattutto alle donne che, in fatto di abitare, per necessità quotidiana del loro prezioso operare e lavorare, sono depositarie di un “predominio” speciale sugli spazi, siano privati o pubblici. Il loro occhio di attente osservatrici, di potenziali conservatrici o semplici governanti di un milieu che è di tutti, ma che loro guardano e “misurano” da sempre, con la stessa attenzione con cui si guarda a casa propria, per accudirlo o trasformarlo al meglio, sicuramente ha suggerito loro qualche domanda.
Piazza della Repubblica, che quasi sempre odora di birra e urina, noto luogo di spaccio nel cuore di Varese, sede di un “teatro provvisorio” ormai da anni- oltre che teatro e “reality” di risse e accoltellamenti notturni- può essere riconosciuto come luogo da abitare o non può che mettere in fuga una donna, per quanto ben predisposta verso la propria città? Vale la stessa domanda per la zona delle stazioni, affollata di ubriachi, lordata dalle scritte sui muri e dalla diffusa sporcizia.
E il lento e intristito degrado della vecchia, ma dignitosa e potenzialmente ancora utile caserma Garibaldi, e gli intoppi del traffico, bloccato tardivamente in tutta fretta per mettere i ponteggi necessari a tenere in piedi quel che ne restava, non hanno forse lasciato l’ amaro in bocca?
E le strade dissestate con i marciapiedi anti carrozzine e acchiappatacchi, o le buche che dopo le piogge si fanno trappole per pneumatici, quale esempio di attenzione e di cura offrono agli occhi di chi vi transita con i bambini? E il traffico caotico nelle ore di punta per chi deve accompagnare i figli qua e là, o i parcheggi sempre più cari, anche quando i tempi di sosta sono brevi, non suscitano un senso di estraneità, di amore mal ricambiato a chi cerca di vivere con decoro e orgoglio la propria giornata di donna?
A proposito di parcheggi, è impresa difficile trovarne uno vicino all’ospedale Del Ponte, dove si trovano il polo materno e pediatrico e dove è stato infilato a fatica, tra un edificio e l’altro, l’enorme scatolone rosso e giallo del futuro Ponte del Sorriso: per ora inutilizzato- nonostante le promesse esibite contro chi lo contestava- per mancanza di quattrini, come ci hanno detto quelli che prima dicevano che i soldi c’erano. Di conseguenza: per mancanza di personale specialistico e delle costose apparecchiature necessarie.
Nell’elenco delle negatività sappiamo che non manca il pessimo odore e sapore dell’aria, quello che avvelena labbra e polmoni anche dei nostri figli e nipoti, e che anzi ci mette in testa – classifica nazionale e anche europea – tra le città con le più alte percentuali di decessi per tumori.
E cosa racconta corso Matteotti, amato luogo di passeggio e shopping, ma anche sede fissa degli habitué dell’accattonaggio, solite facce da anni? O cosa pensare della negligenza di chi dovrebbe vigilare perché i cani, che hanno preso il posto dei bambini nell’immaginario collettivo di un Paese in decrescita demografica – e ormai quasi sempre con la paletta in mano – non siano autorizzati a “pascolare” qui, anziché in campagna, imbrattando continuamente il marmo dei nostri famosi portici con buona pace di tutti ?
Ma cosa c’entra questa Varese con quella di anni fa, ci domandano le amiche che vengono in visita “da fuori”.
Dov’è andata a finire in questi anni la cura per la nostra casa comune? Perché ce la siamo persa?
Anche le varesine se lo chiedono.
Succede così dappertutto, dice qualche altra. Ma chi viaggia racconta invece di città del mondo, di ogni parte del mondo, un tempo per nulla accoglienti, anzi assediate dalla povertà e in questi ultimi decenni trasformate in gioielli da esibire.
Ma non eravamo noi un tempo la Città Giardino, definita dai cartelli di benvenuto come “località di soggiorno e turismo”? Non eravamo la città ” bottegaia” un po’ svizzera e un po’ riservata, che tanto piaceva ai milanesi in cerca di verde e di tranquillità, che non doveva certo asserragliarsi in casa per la paura di furti e rapine?
Non eravamo forse negli anni Sessanta tra le tre città lombarde, capoluogo del boom economico, più desiderate e rispettate da chi veniva qui, come migrante o villeggiante di lusso- la valigia di cartone o di cuoio- per cominciare una nuova vita?
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