In fondo il ballottaggio non è un meccanismo aleatorio e complicato, e la metafora calcistica dei tempi supplementari e dei calci di rigore non gli rende neanche giustizia. Perché anche sul campo di calcio chi non segna quando ne ha l’opportunità e i rigori o li sbaglia o se li fa parare, inesorabilmente arriva secondo e va a casa.
Il discorso è semplice – restando nel campo calcistico – per chi gioca, non per chi rimane in panchina o si allontana dallo stadio alla fine dei tempi regolari. E vedremo presto il perché.
Non è complicato il ballottaggio, anzi è semplicissimo: l’opzione infatti ha una sola alternativa: o l’uno o l’altro. Nel caso di Varese l’elettore, meglio, chi decide di votare deve rispondere a un paio di domandine facili facili: sei contento di quasi un quarto di secolo di governo leghista supportato da moderati forzitalioti? Ti andrebbero bene (ci limitiamo a questo) un parcheggio-bunker alla Prima Cappella e una “nuova” piazza Repubblica, smantellando anzi ri-smantellando la vecchia? Se sì non hai che da votare il candidato del centrodestra – che tra l’altro è già davanti di cinque punti percentuali conquistati nella prima tornata –, se pensi di no e vuoi cambiare hai il candidato del centrosinistra, anche se queste di centrodestra e centrosinistra – specialmente in una tornata amministrativa e locale – paiono ormai definizioni desuete e nemmeno del tutto esatte.
Fin qui niente da dire. Se si tornasse a votare così come s’è fatto un paio di domeniche fa e tutti gli altri, assenteisti volontari e tifosi di liste diverse, a fare vacanza sulle acque del Lago Maggiore, il ballottaggio sarebbe inutile, né saremmo qui a discuterne. Ma perché allora si parla di roulette e di alea, di incertezza e – per coloro che inseguono – di speranza di recupero? Perché adesso per vincere la partita, dato per scontato che chi ha votato in un modo nella prima puntata continuerà a farlo nella seconda, occorre convincere tutti gli altri, o molti degli altri, assenteisti e extratifosi. E non è un problemino da nulla. Né, a nostro giudizio, servono accordi con capilista “sconfitti” (anche se un consiglio ad amici può tornare sempre utile). Qui contano le singole teste dei cittadini aventi diritto. Una per una.
A loro si dovrebbero porre le domande di cui sopra (siete contenti ecc. ecc.? Volete cambiare ecc. ecc.?), domande finalizzate al bene comune della città: al marciapiede sconnesso sotto casa e alla via buia, alla vecchietta che deve essere “prelevata” a Bregazzana, magari anche da sola, con un pullman dell’Avt, alla signorina che tornando di notte da Milano teme di avventurarsi nei sottopassi della stazione, ai giovani che frequentano la nostra università, ai pazienti dei nostri ospedali, ai cittadini desiderosi di iniziative culturali, e così via. Passano gli anni, sono passati gli anni, e i problemi, ahinoi, sono rimasti sempre gli stessi. Piero Chiara avrebbe scritto “dai tempi di Carlo Còdega”.
Ma c’è un’altra cosa da dire. S’è letto sulla stampa locale che ad alcuni cittadini di Varese, di tutti questi problemi locali, e di altri, interessi ben poco. Essi voteranno per fare un dispetto, al presidente del consiglio in carica Matteo Renzi, per esempio, e un favore a Matteo Salvini che lo contrasta in tutto e per tutto. (Non ci inoltriamo nelle teste di chi, invece, apprezza lo status quo nella città perché fa bene gli affari suoi e continuerà a farli).
Questa cultura del dispetto, del voto soltanto contrario e non costruttivo, legittima per carità, è molto antica. Quanto meno risale ai tempi del filosofo Origene (III secolo d.C.), il quale per rimanere puro e casto e per non cadere in tentazione dinanzi alle giovani pulzelle cui insegnava dottrina si tagliò i cosiddetti. In Germania – dove sono particolarmente attenti a discipline del genere – la chiamano Schadenfreude, cioè la gioia che si prova nel causare un danno ad altri. A pensarci su è una pratica poco intelligente, perché quasi sempre si rivolge come un boomerang contro gli autori, i quali, se le cose non dovessero andare bene (anche qui: quasi sempre) non avrebbero da recriminare con nessuno se non con sé stessi.
Ma anche un tale tipo di lotta, un po’ stupido, lasciatecelo dire, fa parte della democrazia. La quale democrazia, parafrasando un detto famoso di Winston Churchill, è per l’appunto il peggiore dei sistemi possibili. A eccezione di tutti gli altri.
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