Oggi ho scoperto di essere affetta dalla sindrome “Fomo”, acronimo da poco entrato nell’Oxford Dictionary e che sta per Fear Of Missing Out, la paura di restare esclusi, di “perdersi qualcosa”. Psicopatologia della vita quotidiana, direbbe Freud, prodotto della odierna necessità di essere sempre connessi.
Ho capito di essere una vittima, sia pure consapevole, del FOMO, ragionando sui miei comportamenti da un anno a questa parte, da quando al PC sempre acceso e al tablet che mi segue in vacanza, si è aggiunto uno smartphone con un imprecisato numero di funzioni e di app.
Qualche esempio della sindrome: entro in Facebook dopo qualche giorno di assenza, qui prendo atto che persone a me note si sono scambiate pareri, o semplici “ok” o banali “mi piace”, o hanno effettuato “condivisioni” su temi di cui non ero al corrente. La mente ha elaborato con estrema velocità il pensiero che i miei contatti sul social network si sono ritrovati, nella piazza virtuale di Facebook, senza di me. E anche: nessuno si è accorto della mia assenza, tranne, ovviamente, il gestore di Facebook, il mitico Zuckerberg, che mi segnala, chiamandomi amabilmente per nome, che da un po’ di tempo non entro nel social, come mai?
Verificare che sono stata lontana da qualcosa che gli altri invece conoscono, mi trasmette una sorta di ansia, una lieve sensazione di inadeguatezza, il timore di essere esclusa. Non c’è alcuna razionalità in questi liberi pensieri, me ne rendo conto. Il sentimento che provo però, scorrendo i post degli “amici”, è concreto, mi afferra senza darmi il tempo per riflettere, per rielaborare, come se avessi metabolizzato la minaccia che il mondo, sia pure quello virtuale, è andato avanti, mentre io sono rimasta indietro.
Che gli psicologi e gli psichiatri si siano messi al lavoro per studiare il fenomeno non mi stupisce. Vedo nascere un nuovo filone di terapie che darà lavoro per i prossimi decenni agli studiosi dei comportamenti, consci e inconsci. E ai pedagogisti che riuniranno, a pagamento, insegnanti e genitori per fornire loro consigli volti a interrompere la connessione continua dei minorenni mentre in platea, metà di loro ascolterà distrattamente avendo un occhio, e una mano, rivolti al proprio cellulare che invia e riceve messaggi scritti vocali visuali.
Chiamo a rapporto la ragione, la costringo a sistematizzare l’ordine nei pensieri e a ripristinare un contatto con la vita reale.
Ma non è solo Facebook la falla che si insinua nella mente. C’è anche la scatolina, lo smartphone, usato come un’ancora a cui stare aggrappati. Un tempo, prima di averlo in dotazione, trascorrevo i tempi morti in attesa dell’autobus urbano, e il quarto d’ora a bordo dello stesso, a osservare le persone, ascoltavo i loro discorsi, sorridevo tra me e me ai loro ragionamenti, sballati come quelli degli adolescenti in lotta con i professori; o incomprensibili ma animati, contenuti nelle interminabili telefonate delle badanti ucraine o sudamericane. Osservavo l’abbigliamento degli uni e degli altri, mi immaginavo le loro vite. Se trovavo un posto a sedere accanto a qualcuno, talvolta ci scappava una conversazione, magari sui guai della propria vita, sulle malattie o sulle inadempienze del sistema sanitario.
Ora il tempo degli spostamenti lo occupo a navigare sul mini schermo dello smartphone, dove studio il meteo locale: pioverà domani e a che ora? Quanti gradi domenica? Altro tempo lo passo a consultare le pagine dei quotidiani online, perché chissà che cosa sarà successo da quando ho chiuso lo schermo più grande del PC.
In un passato non lontano, la sala d’aspetto del medico era il luogo giusto per finire una lettura rimasta indietro o il momento per sfogliare il quotidiano. Anche oggi porto con me libri e giornali ma, chissà come, quando è il mio turno, mi ritrovo ad aver chinato il capo solo sul mio smartphone.
Altro tempo, sempre perduto? Quello per consultare i messaggi di Whatsapp che giungono a ogni ora da amici, conoscenti, candidati a qualcosa, operatori telefonici. Almeno ai primi, agli amici, devo rispondere, perché esiste una “netiquette” che mi obbliga a farlo. Frasi scontate, commenti banali, spesso notizie poco rilevanti. La foto e il video della festa di compleanno del figlio o del nipote sono davvero belli!
Nelle ricorrenze di Natale, Capodanno, Pasqua, 8 marzo, o in occasione di altre feste laiche o religiose, si sprecano gli auguri sotto forma di foto, di jingle, video.
Rispondo, non rispondo? A passeggio sui rilievi montuosi dei dintorni alla scoperta delle fioriture selvatiche, qualche settimana fa, ho potuto fotografare orchidee in boccio e peonie in fiore che ho prontamente inviato agli amici rimasti a casa. Alcuni di loro hanno “dovuto” rispondere, prima o poi. Chi si è complimentato per la bellezza del fiore, chi mi ha spedito, a sua volta, la foto delle peonie del suo giardino.
E tra una risposta e un invio, un quarto della luminosa mattinata primaverile l’ho trascorso a “smanettare”.
Altro sintomo: quando il livello della batteria dello smartphone si abbassa, sento che il mio legame con il mondo – sia pure virtuale – si sta affievolendo. Come accettare di essere fuori casa senza connessione, almeno telefonica? Come potrò chiedere aiuto, vedere chi mi cercata, rispondere urgentemente a …
Al cinema non sono rari gli spettatori che, a film iniziato, consultano febbrilmente lo smartphone, illuminando il buio della sala con la fastidiosa luce del cellulare. Sullo schermo è iniziata la storia del film ma loro, lui, lei, concludono febbrilmente l’ultima ricerca di notizie che non possono attendere. Squilla un telefono dimenticato acceso, vibra un altro in fondo a una borsetta (la mia?) o a una tasca. E dire che nessuno dei presenti in sala è un bambino o un ragazzo della serie “sempre connessi”!
Prima di andare a dormire, spengo lo smartphone, tranne nei casi in cui mi serva da sveglia. Lo faccio per evitare che il mio operatore mi proponga quella speciale offerta via SMS sonoro delle 23.55. O che un amico insonne si ricordi di segnalarmi un articolo, anziché per mail, direttamente per Whatsapp.
Però lo riaccendo subito al mattino, con il gesto automatico con cui ci si accinge alle prime incombenze della giornata.
Eccomi connessa, eccomi malata di FOMO.
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