A un mese dal discorso pronunciato da Papa Francesco in occasione del “premio Carlo Magno” conferitogli, ci sembra opportuno ritornare sull’argomento per guardare alla visione che il Papa ha dell’Europa.
Dopo il discorso tenuto al Parlamento Europeo il 25 novembre 2015, seguito da una sua successiva dichiarazione improvvisata durante una conferenza stampa (“Dobbiamo fare tutto il possibile perché l’Unione Europea trovi la forza per ri-generarsi e l’ispirazione per andare avanti”), seguita da una conversazione riservata e amichevole con alcuni cattolici francesi, durante la quale il Papa ha ricordato il pensiero dei padri fondatori e dei filosofi Lévinas, Gabriel Marcel, nella solennità della Sala Regia e davanti alle massime autorità delle istituzioni europee, Papa Francesco ha rivolto un vero e proprio appello alla coscienze degli intellettuali, dei politici e di tutti gli europei.
“Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”: è questa la domanda che il Papa rivolge all’Europa.
Abbiamo dimenticato, Santo Padre. Abbiamo dimenticato il valore morale dell’Europa. La vediamo chiusa nei suoi ristretti ambiti geografici proprio in un momento in cui il pianeta è diventato di casa. Peggio ancora, la limitiamo ad uno spazio economico e monetario. La confondiamo con le sue elefantiache strutture istituzionali, con i vertici, con le decisioni prese e mai attuate. Abbiamo dimenticato che, nell’idea dei padri fondatori, che lei ha citato più volte, “l’Europa, prima di essere un’entità economica o un’alleanza militare” è un progetto fondato sul pensiero speculativo greco, sul senso ebraico del trascendente, sulle norme romane che permettevano di accogliere in quel vasto impero nuovi popoli ai quali dava il diritto di cittadinanza, sul valore del cristianesimo che, nato in occidente, si è diffuso in oriente e da cui è germinato il valore dell’uomo, della sua dignità e il senso della fratellanza, essenza della democrazia: tutti valori che si sono espansi attraverso i secoli e ratificati dall’illuminismo. Abbiamo dimenticato questi valori che hanno generato il carattere policentrico della cultura europea, grazie a continue interpretazioni positive di questa diversità delle sue radici. Il nostro umanesimo è diventato arrogante!
Francesco ha suggerito agli europei, di procedere a “una trasfusione di memoria”, che “ non solo ci permetterà di compiere gli stessi errori del passato, ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando”. Anche oggi alcuni stati-nazioni propagano le purificazioni nazionali sotto l’influenza di elettori populisti e xenofobi. Sacralizzano le loro frontiere e innalzano muri o barriere. Non hanno capito costoro che il nemico non è al loro esterno, ma al loro interno: sono i populisti e gli xenofobi che non hanno capito che “il tutto è più delle parti, e anche della loro semplice somma”, che il futuro non è tra isolamento e unione, ma tra restare uniti o scomparire del tutto.
“In questo mondo dilaniato e ferito, occorre ritornare a quella solidarietà di fatto, alla stessa generosità concreta che seguì il secondo conflitto mondiale” – ha continuato il Papa. L’idea europea – nata da Dante, proseguita da Erasmo e da Comenio, proclamata da Mazzini, da Cattaneo- trovò la sua prima incarnazione in un progetto concepito da uomini politici che avevano vissuto le tragedie dei totalitarismi e della guerra. Il culmine di questa tragedia fu il genocidio contro ebrei, zingari, handicappati, omosessuali. Successivamente, lo stalinismo deportò in massa intere etnie. Alla fine degli anni ’80, la decomposizione della Jugoslavia porto’ al massacro di Sebrenizca. Oggi l’Europa si dimostraa impotente di fronte alle migliaia di donne e uomini che muoiono naufraghi nel Mediterraneo. Esso da “culla” della nostra civiltà sta diventando la “tomba”ove si consumano speranze e attese. Se l’Europa, nel 1950, è nata nel segno della riconciliazione tra Francia e Germania e se nel 1989 ha avuto il suo epilogo nel perdono tra Germania e Polonia, ora gli europei, coniugando emergenza, accoglienza e comune politica d’asilo, sono chiamati a prospettare una comune solidarietà. Essa li salverà nella misura in cui saranno coscienti che angoscia, paura, terrore si vincono se si affrontano tutti assieme. Ormai tutti i grandi problemi oltrepassano le competenze degli stati nazionali e possono mettere a dura prova le conquiste degli ultimi anni.
Queste conquiste non appaiano scontate o irreversibili. Nessun futuro è certo. Per essere arbitri del loro destino, gli europei – nella visione di papa Francesco – devono avere “una grande capacità di integrare”, cioè a includere piuttosto che a escludere, “una capacità di dialogo” come forma di incontro, una “capacità di generare” lo spirito europeo, soprattutto tra i giovani, favorendo il passaggio da un ‘economia “liquida” ad una “sociale”.
“Ormai solo un Dio può salvarci!” – disse Heidegger in una celebre intervista del 1976. Ma Dio ha bisogno degli uomini per continuare a costruire un’Europa dove la comprensione si trasformi in amicizia, il sospetto in simpatia, la tolleranza in reciprocità. È ciò che ci insegna Papa Francesco.
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