Se fossimo in un Paese normale andrebbe così. Che al ballottaggio per eleggere un sindaco i gareggianti dichiarano (1) con quali persone governeranno in caso di vittoria; aggiungono (2) di averle scelte per i loro meriti e non per le loro appartenenze politico/ideologico/culturali; concludono (3) spronando i cittadini a spolverarsi da indifferenza, pigrizia, superficialità. Messaggio molto chiaro e poco scontato alla società civile: non ci si può sempre lamentare della classe politica se si rinunzia a formarla con i comportamenti individuali nel vivere quotidiano, e a sceglierla con sensibilità democratica nelle occasioni di voto.
Il menefreghismo degli astensionisti è un male che ha riflessi determinanti sulla conduzione della cosa pubblica, in questo caso delle città. Nello specifico che c’interessa da vicino, Varese in primis e poi Gallarate.
Obietterete: figuriamoci se un candidato, nel momento in cui deve raccogliere la maggiore popolarità possibile, ha l’ardire di cimentarsi in un’uscita antipopulistica. Sì, avete teoricamente/sperimentalmente ragione: l’esperienza del machiavellismo doc insegna che blandire è meglio di provocare. Però quando s’incentra una campagna elettorale (a Varese l’han fatto entrambi i contendenti rimasti in gara, chi più credibilmente e chi meno) su progresso, cambiamento, novità, virtù civiche eccetera, bisognerebbe abbandonare il consumato registro d’un peloso conformismo. E richiamare tutti, ma proprio tutti, all’opportunità di risvegliare la politica, non di rimuoverla. La politica, come si sa da secoli, è coscienza d’esser parte d’una comunità. La politica, come ha ricordato il Papa, è di alto profilo, basta volerlo. La politica, come suggerisce l’etimo, è fondante del comunitarismo della “polis”: cioè la città dei cittadini, dove si governa dal basso invece che dall’alto, con una responsabilità circolare. Ovvero: uno vale uno, sul serio. Perlomeno quando si frequentano le urne.
Perciò i renitenti al voto possono, sì, esibire la pezza giustificativa dell’insofferenza verso incompetenze di ruolo, obliquità gestionali, scandalismi diffusi; ma non possono rinunciare all’esercizio d’un diritto sentendosi poi in dovere di mettere alla gogna gli eletti. Qualunque nome abbiano, di qualunque scelta siano il terminale, qualunque squadra amministrativa compongano. Facciamo ancora e infine l’esempio di Varese: potete pensare quel che vi pare di idealità/programmi/scelte di Orrigoni e Galimberti (continuista del leghismo-berlusconismo il primo, rottamatore del medesimo il secondo), non potete non convenire su quanto impegno, volontà, dedizione abbiano messo in questa causa elettorale. Forti entrambi di gratificanti attività professionali, non hanno giudicato una debolezza spendersi per gli altri, pur essendo più comodo badare solo a se stessi. Un gesto d’attenzione partecipativa è il minimo contraccambio da parte di chi pretende sempre il massimo, talvolta (quasi sempre, da ormai alcuni anni) senza dar nulla. Se non vogliamo chiamarlo debito morale da assolvere, definiamolo almeno obbligo di buonsenso cui corrispondere.
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