Forse, anziché insistere sulla crisi, dovremmo cercare invece di capire quali opportunità ci offre questo tempo, difficile eppur promettente.
Facciamo di questa crisi un’occasione per essere più evangelici, per tornare alle origini, per incontrare le persone che hanno più bisogno, come fecero i fondatori degli ordini e come ci sta mostrando papa Francesco, che ci invita ad essere “una Chiesa in uscita”.
Una delle “frontiere” sulle quali i consacrati sono chiamati a fare la loro parte è il precariato. Si tratta di un incontro che ci potrà rinnovare e cambiare lo stile piuttosto seduto ed accidioso delle nostre comunità. I giovani precari, infatti, possono diventare “provocazione” per la vita consacrata. Una provocazione che – sia pure in forme estremamente diverse a seconda delle epoche e delle esigenze – ha sempre animato i religiosi.
“All’inizio dei nostri istituti – ha affermato monsignor Giancarlo Maria Bregantini, che appartiene alla Famiglia degli Stimmatini – c’è sempre stato un incontro: con un povero, un lebbroso, un giovane sfruttato, la miseria di un quartiere, una periferia abbandonata… Quell’incontro ha generato un carisma”.
Oggi la metodologia va ripresa e aggiornata anche alla luce della “Evangelii gaudium” di papa Francesco. Occorre puntare sul kerygma come annuncio di speranza, con uno stile forte e pacato insieme. Non vincere, ma convincere, proporre e non imporre, analizzare e non giudicare.
Un kerygma col volto gioioso, che può e deve cambiare la società, cioè un annuncio con contenuto ineludibilmente sociale. Per la vita consacrata questo significa “lasciarsi evangelizzare dai poveri”, nel caso specifico: dai giovani precari.
Scoprire Cristo in loro, prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause; essere loro amici, ascoltarli e comprenderli, accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicare attraverso di loro.
Attraverso questo esercizio sarà possibile esercitare anche i tre consigli evangelici: la Chiesa in uscita, infatti, nasce dall’obbedienza, perché obbedire significa lasciare le certezze ed andare dove Dio ci spinge.
Il contatto coi giovani precari ci insegnerà la povertà, o meglio la sobrietà antica dei monaci che fecero l’Europa; per esempio ci spingerà a eliminare l’acqua minerale dalla tavola del convento, poiché costa e le bottiglie inquinano; a farsi da soli lo yogurt, a coltivare l’orto ed allevare le galline.
Infine i giovani ci aiutano a vivere più profondamente la castità nella dimensione della gratuità. Le relazioni gratuite valgono più delle azioni.
Del resto è proprio la carità operosa che rende attraenti, in modo da condurre le persone – tramite noi – al Signore. Incamminiamoci allora senza timore verso le periferie della storia, che attendono con trepidazione l’annuncio di Cristo e la solidarietà fattiva dei fratelli.
Ben venga l’esercizio – favorito dall’anno della vita religiosa – di approfondire l’attualità dei carismi fondativi dei diversi istituti e congregazioni, nella loro relazione con le specifiche esigenze del momento presente, in modo da rinnovare metodi di azione, priorità pastorali e persino stili di vita.
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