Le elezioni comunali sembravano lontanissime lo scorso autunno, ma i primi squilli dell’annuncio della fine del mandato del sindaco e del consiglio comunale hanno scatenato interesse e una corsa senza precedenti verso il traguardo del voto. Un voto che da noi ha una storia interessante perché siamo stati la capitale della Lega, quindi riferimento nazionale della politica, e anche perché Varese fu il primo capoluogo di provincia ad avere un sindaco lumbard, Raimondo Fassa.
Oggi siamo dunque alla vigilia di una tornata elettorale che presenta novità di rilievo come l’attenzione e la notevole partecipazione, mai prima registrate, della comunità alla competizione.
La crisi economica, finanziaria, sociale e politica che sconvolge quasi tutti i continenti ha contribuito a far crollare il castello di realtà positive e di speranze che politici e partiti di buon senso lavorando sodo avevano costruito nei primi decenni del dopoguerra. A minare le fondamenta del castello è stata senza ombra di dubbio la grande bolla della partitocrazia, ladra di soldi, di potere, di libertà.
La fine della Prima Repubblica poteva essere occasione di riscatto e di un ricupero che in parte avrebbero sicuramente attenuato le conseguenze delle difficoltà mondiali e invece la classe politica non ha espresso leader attendibili, si è frantumata, oggi fa solo quadrato quando si vede in pericolo, impiega anni per fare riforme, tassa tutti meno che se stessa, non ha accantonato la cultura dei privilegi, è una sagra continua di parole e di contrapposizioni, continua a essere nel mirino della magistratura.
Con un Paese che non rinnova il Parlamento e quindi i governi secondo le regole della democrazia si può dire allora che l’unica che abbia retto sia stata l’Italia dei Comuni.
Senza soldi perché il primo a strangolarlo è lo Stato, possiamo però riconoscere che in parecchi casi il Paese dei Comuni ha fatto dei miracoli, anche se non ha potuto evitare giudizi negativi da parte degli amministrati a fronte di risultati molto scarsi là dove potevano essere comunque raggiunti se preceduti da scelte oculate.
Questo è il caso di Varese che qualcosa o molto di più poteva attendersi dopo 23 anni di egemonia carroccina.
Le negatività del leghismo della prima ora furono attenuate dalla presenza di un sindaco acqua e sapone come Fassa e dalla presenza in Giunta di un solo altro leghista oltre al sindaco, Roberto Maroni: c’erano infatti l’indipendente Bonomi, un repubblicano e poi socialisti e comunisti culturalmente solidi, ma in alcuni casi sottomessi essi pure a voleri, riti e vuoti programmi imposti dai boss rivoluzionari, anche a livello nazionale, il tutto spesso con accompagnamento di un linguaggio a volte imbarazzante.
Ritiratosi il deluso Fassa, i vertici della Lega avevano forse programmi diversi per Giuseppe Bonomi, varesino molto rispettato e seguito in città e così come nuovo sindaco abbiamo avuto Aldo Fumagalli che resse il confronto con Fassa grazie a una prima giunta importante per presenze accademiche, ma che al secondo mandato sbandò forse perché il partito aveva pensato di lasciarlo con una squadra più vicina all’ortodossia del partito.
Afflosciatosi Fumagalli, toccò ad Attilio Fontana, una bella persona, che poco dopo l’ incarico ebbe a che fare con le ore più brutte della notte economica del Paese; per di più gli alleati di governo come si profilò la possibilità di una alternanza a Palazzo Estense, ritornarono a essere scomodi e ingordi, sta di fatto che la quasi totalità dei grandi e noti problemi di Varese dopo 23 anni oggi non ha ancora trovato una definitiva soluzione. Da qui l’insoddisfazione di buona parte della città.
Per questo motivo e per verificare la consistenza, morale e politica, delle avanguardie della contestazione civica la comunità ha chiesto che sia dato spazio ai giovani e nel contempo, dopo tanti fallimenti anche un passo indietro alla vecchia politica. Un passo che ci sarà se conseguiranno risultati accettabili coloro che si sono messi al servizio della città con impegno ammirevole e sapendo di affrontare notevoli sacrifici.
Si può credere nei giovani sapendo che non sono varesine le centrali provinciali di qualche partito che essi rappresentano? Si può credere se faranno come Albertini grande sindaco di Milano: disse infatti ai suoi che nel primo cassetto della scrivania nel giorno della sua nomina avrebbe messo la lettera di dimissioni. Un avviso ai naviganti che nessun nostro candidato sindaco dovrebbe trascurare perché i segnali che sono arrivati dalla collettività sono forti e chiari.
Sono segnali di voglia di cambiamento, non di rivoluzioni, poco amate da una città legata a valori e tradizioni ancora e sempre molto sentiti e rispettati.
Sono segnali che hanno attirato da subito l’attenzione di noi giornalisti da tempo annoiati da campagne elettorali al cloroformio, imbottite di promesse, retorica, dimenticanze.
I cittadini hanno il dovere del voto e hanno a che fare questa volta con una legge elettorale che concede due preferenze, una delle quali obbligatoriamente riservata a una donna. In attesa della terza preferenza obbligatoria – arriverà se va tutelato il principio del sesso – non resta che individuare in ogni lista le cittadine d’assalto che vogliono contribuire alla rimonta di Varese.
Un altro problema in più ci sarà per chi ha carissimi amici in liste diverse. Vero che il cuore è uno zingaro, ma non si può farlo a fette.
Questo è un altro problema, piccolo, che si deve porre chi ha deciso di passare dalle parole ai fatti.
Cioè di partecipare alla svolta. Non c’è nessun cartello che la annunci come pericolosa.
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