Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

UN FUTURO PER AMNESTY

LIVIO GHIRINGHELLI - 27/05/2016

AmnestyAmnesty International, organizzazione non governativa per la difesa universale dei diritti umani, è stata fondata il 28 maggio 1961 da Peter Benenson (con sede centrale a Londra) e ha profuso per oltre mezzo secolo un’opera encomiabile al fine che tutti i governi e regimi si attenessero ai principi sanciti nell’apposita Dichiarazione Universale. Ha esercitato ed esercita tuttora questo compito in maniera indipendente e imparziale, ottenendo già dal 1977 il Premio Nobel per la pace a difesa della dignità umana contro la tortura, la violenza, la degradazione, la pena di morte comminata spesso con motivazioni ingiuste e inadeguate. Ha inteso sempre promuovere azioni e propaganda incisive, mirando a prevenire e a far cessare i gravi oltraggi ai diritti fondamentali di ogni uomo: salvaguardia della propria integrità fisica e mentale, libertà di coscienza e di espressione e dalla discriminazione (di ogni tipo, razziale e sociale). Fine certo non ultimo l’affermazione di valori come la democrazia e il rispetto reciproco, sperando sempre nella giustizia. Simbolo adottato una candela nel filo spinato a confermare l’irriducibilità di una protesta contro l’incarcerazione di persone per motivi di coscienza, le persecuzioni di massa e contro esponenti di rilievo dei vari movimenti di liberazione: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità”. La sezione italiana di Amnesty, creata nel 1975, conta su oltre 72.000 soci e sostenitori.

Fanno scandalo per esempio in Egitto l’arresto nel 2012 di Mohamed al ‘Ajami (il poeta dei gelsomini) per un reading privato di poesia risalente ad oltre due anni prima e la detenzione in Turchia di Can Dundar ed Erdem Gui, direttore e caporedattore del quotidiano Cumhuriyet per un’inchiesta sul traffico d’armi verso la Siria, scarcerati per decisione del Tribunale di Istanbul lo scorso 21 febbraio, dopo che la Corte Costituzionale aveva giudicato lesiva dei loro diritti la detenzione in attesa di giudizio. Emblematico in Egitto l’arresto a 18 anni di Mahmoud Hussein a causa di una maglietta dell’Associazione “ Per una nazione senza tortura”, rilasciato dopo brutali trattamenti il 25 marzo su cauzione. Rimane sempre sospeso il giudizio di verità sulla fine del nostro Giulio Regeni. E proseguendo: 43 studenti di Iguala in Messico risultano desaparecidos nel settembre del 2014 ad opera dei narcotrafficanti, nel confronto dei quali il governo centrale si dimostra impotente; Raid Budawi è perseguitato in Arabia Saudita perché blogger; Liu Xiaobo in Cina perché assertore di riforme democratiche necessarie e improcrastinabili; Malala Yousafzai è vittima di un attentato in Pakistan per avere rivendicato il diritto all’istruzione.

Nelle miniere di cobalto della Repubblica Democratica del Congo, controllate dal gigante minerario cinese Zheiyang Huajou Cobalt Ltd, i bambini lavorano fino a 12 ore al giorno percependo un compenso tra uno e due dollari. Non vi si registrano molti incidenti, perché molte vittime sono lasciate sepolte sotto le macerie. In Slovacchia è diffusa la discriminazione contro i rom; l’Ungheria ha chiuso i confini per impedire il passaggio dei migranti. In Burundi si rievocano gli spettri del genocidio, da cui il Paese è uscito nel 2005, a causa degli arresti arbitrari, le torture e le fosse comuni. Vasti e diffusi sono i conflitti spietati contro ogni legge di guerra, non rari sono i casi in cui i diritti umani di fronte alla minaccia del terrorismo sono ritenuti un ostacolo alla sicurezza. La crisi siriana ha creato dieci milioni di profughi interni e rifugiati ed allarma l’accordo stretto con la Turchia il 18 marzo, cui l’UE deve corrispondere ben tre miliardi di euro per il respingimento immediato di rifugiati siriani che arrivano sulle isole greche. Attualmente 200.000 persone sfollate versano in condizioni spaventose lungo 20 km di confine turco.

Centotredici paesi nel mondo restringono la libertà di espressione e di stampa, 60 milioni di persone sono allontanate dalle loro case, 122 paesi praticano torture o maltrattamenti. Ma il fenomeno più allarmante è quello di migrazioni bibliche di intere popolazioni (1 milione di rifugiati solo nel 2015), col grande problema dell’Africa. In Nigeria imperversa Boko Haram con l’estremismo del suo regime sanguinario. Da 25 anni si combatte in Somalia. Sono in guerra Mali, Yemen, Gambia, Eritrea, preoccupa seriamente la situazione in Guinea, Costa d’Avorio, Senegal, Sudan. Onde la necessità di responsabilizzare i governi africani col Migration Compact, inteso a favorire l’occupazione e lo sviluppo con opere di alto impatto sociale e infrastrutturale. Va condotta con intransigenza la lotta contro i trafficanti.

Se da una parte in Europa vanno scongiurati certi populismi miopi, è direttamente in Africa che i Paesi del benessere occidentale devono esercitare la loro influenza a fini di pacificazione e di collaborazione, rifuggendo da ogni eredità colonialistica.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login