Il John Wayne Day non ci sarà. Così ci informava, qualche settimana fa, il Corriere della Sera: il parlamento della California ha deciso che ogni anno il 29 maggio – giorno della sua nascita nel 1907 a Winterset nello Iowa – non si commemorerà la figura del Duke, questo il soprannome di Wayne, grande personaggio hollywoodiano, primo genuino interprete sullo schermo della way of life americana. Cioè il modo di essere degli uomini forti, due, tre valori da difendere e tutto il resto chiacchiere. Dal Ringo di Ombre rosse (1939) al tenente di polizia Lou Parker (1974).
Motivo del diniego dei parlamentari (democratici per lo più): “Era un razzista”, gravi alcune sue dichiarazioni rese (pare) quarantacinque anni fa circa una supremazia dei bianchi nei confronti dei neri… “almeno fino a quando essi non saranno educati alla responsabilità”.
Non è la prima volta che John Wayne subisce una contestazione: per esempio, all’epoca del film Berretti verdi che egli stesso diresse, nel 1968, in piena guerra del Vietnam, ci furono picchettaggi davanti alle sale in cui veniva proiettato – si racconta che alcune furono perfino date alle fiamme – per impedire che gli spettatori entrassero, e durissimi scontri tra giovani e polizia.
Insomma, quale fosse l’idea politica del Duke s’è sempre saputo. Un repubblicano convinto, un esponente della destra più conservatrice. Quando una volta il popolare presentatore televisivo americano Jimmy Carson gli chiese in che cosa credesse, rispose convinto: “Credo in Dio, nel mio paese, nella famiglia…”. Un uomo tutto d’un pezzo dunque.
Ma davvero un personaggio così meritava d’essere in qualche modo boicottato? E forzosamente rinnegato da suoi compatrioti californiani? È giusto che l’attore (ed era soltanto all’attore che si sarebbe voluto tributare l’omaggio del John Wayne Day) e l’uomo si identifichino al punto di fare scattare sulla sedia i denigratori?
È una cosa che ci lascia un po’ perplessi, specie se manifestata da rappresentanti politici i quali accettano senza pensarci su che sulla banconota da un dollaro compaia la scritta: In God We Trust, cioè abbiamo fede in Dio. Non soltanto in Dio, evidentemente. E che accettano (magari a denti stretti) poi che un “rude” (ma ricco) candidato, Donald Trump, corra per Casa Bianca. Ma per il John Wayne protagonista di centocinquanta film e quasi tutti western, nessuna fiducia. Paura del mito, del Grinta con le armi in pugno?
Ancora, stupisce che un attore di film western – per altro non famosi e da equiparare ad alcuni nei quali cui ha lavorato, anche da protagonista, il Duke –, Ronald Reagan, anni fa, venisse eletto presidente degli Stati Uniti. Le idee di Reagan, magari più cauto nel renderle note, non erano molto dissimili da quelle di John Wayne. Eppure con lo stesso viatico salì ai massimi vertici del Paese.
Misteri dell’animo umano. Il deputato repubblicano Matthew Harper, che aveva fatto la proposta di celebrare il giorno della nascita di John Wayne, ci informa ancora il Corriere della Sera, al diniego dei colleghi democratici, avrebbe detto: “Opporsi al John Wayne Day è come opporsi alla torta di mele, ai fuochi d’artificio, al baseball, alla libera impresa e al 4 di Luglio…”. Difficile dargli torto.
L’equivalenza tra l’attore e l’uomo – un grande e mitico attore se non altro per quanto egli ha dato alla storia del cinema americano e per quanto ha rappresentato nell’immaginario collettivo di tutti noi – oggi ci appare quasi inscindibile.
Ma è chiaro che tutto cambia o può cambiare. Il cowboy lascia il posto al funzionario, al diplomatico, al burocrate. E nel mondo del politically correct non c’è più posto per Ringo.
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