L’innalzamento di Varese al rango di città fu uno dei primi atti dell’Imperiale regio governo di Vienna, che nel 1815 con il Congresso di Vienna aveva avuto la sovranità sul Lombardo-Veneto. Il decreto è del 1816 e infatti quest’anno si celebrano con molte iniziative, soprattutto di stampo culturale, i 200 anni di un evento che ha segnato la storia cittadina.
A inizio Ottocento Varese era ancora un borgo essenzialmente rurale, ma in cui aveva una particolare importanza anche il commercio, con due fiere in autunno e in primavera, un commercio che a cavallo del secolo aveva avuto un lungo periodo di crisi anche per l’alternarsi dei regimi politici. Proprio in quegli anni tuttavia ha avuto inizio quel lungo cammino di evoluzione imprenditoriale che ha portato la provincia di Varese ad essere una delle più industrializzate d’Italia.
Già allora le produzioni agricole avevano dato vita a forme pur limitate di organizzazione produttiva. Particolarmente sviluppati erano tre filoni: il vino, i bachi da seta, i cereali.
A quell’epoca le vigne contrassegnavano il paesaggio dei dintorni della città: il rione di Avigno prende il nome proprio da questo. La produzione di vino è stata per lunghi anni una fonte di ricchezza, almeno fino alla fine del secolo quando le epidemie di filossera e di peronospora distrussero quasi completamente i vigneti. Lo sviluppo della viticultura è stata poi completamente trascurata nel secolo scorso nonostante i terreni presentassero condizioni di particolare favore e le tecniche di contrasto avrebbero potuto combattere alla radice le malattie: lo dimostra il ben maggiore sviluppo che ha avuto la produzione di vino nella zona del Mendrisiotto, poco oltre i confine svizzero, dove proprie le viti costituiscono la forma di maggiore utilizzo dei terreni agricoli.
Anche la lavorazione dei bachi da seta è stata completamente abbandonata dopo aver rappresentato, in tutta l’area prealpina, un importante elemento di produzione e lavoro. Le filande hanno rappresentato le prime vere e proprie fabbriche offrendo occupazione a decine di persone, in modo particolare donne anche giovanissime che dovevano essere dotate di una particolare abilità nel compito particolarmente delicato di estrarre i filati.
Ma l’origine dell’imprenditoria si ebbe soprattutto attraverso i mulini e quindi dalla lavorazione dei cereali. Lungo il corso dell’Olona sono infatti sorti a fine Settecento i primi insediamenti che utilizzavano l’acqua come forza motrice: ancora oggi vi è la località Molinetto sulla strada tra Sant’Ambrogio e Bregazzana, poco più a valle i Mulini Grassi sono rimasti in attività fino alla seconda metà del secolo scorso, mentre ancora altri insediamenti si susseguivano in particolar modo nella zona dell’attuale Valle Olona.
Proprio in alcuni insediamenti molitori che sfruttavano la forza motrice dell’acqua si sono sviluppati negli anni tre settori produttivi particolarmente importanti per molti decenni nell’economia varesina: le cartiere, le concerie, le tessiture.
Le cartiere sono sorte poi lungo tutto il corso dell’Olona occupando, nel Novecento, migliaia di persone. Tra le più importanti la Cartiera Molina che proprio nel 1818 ha preso il posto del Mulino del Maglio che era sorto a Valle Olona nel 1772, una cartiera divenuta poi una delle più importanti d’Italia come Cartiera Sterzi.
Un volumetto di storia varesina del 1837 così riporta: “Sul fiume Olona, sotto Biumo, presso il signor Paolo Andrea Molina, in minor tempo che non si dica lo stesso moto delle acque prepara in molti cilindri le paste, le distende sopra lungo telajo di finissima maglia, le passa in finissima carta e le rivolta su cilindri riscaldati dal vapore, che vi si introduce ad essere asciugata e ad allungarsi quasi tela a piacemento. Meccanismo che unico ancora si vede in Lombardia, con ingenti somme di denaro introdotto dall’Inghilterra, premiato dall’Istituto delle scienze ed arti con medaglia d’oro, e da cui giova sperare che possano ricevere molto incremento le nostre arti”. E non si può dimenticare come la famiglia Molina abbia segnato positivamente, non ultimo per il lascito per la casa di riposo, la storia varesina.
All’inizio dell’Ottocento prende avvio anche l’attività delle concerie. Nel 1808 Girolamo Garoni apre lo stabilimento poi diventato Conceria varesina delle famiglie Ventura e Trolli (questi ultimi fondatori poi del Calzaturificio di Varese).
Forse ancora più importante l’attività nel settore tessile. Una delle prime fabbriche fu, per esempio, il Cotonificio Ponti che iniziò l’attività proprio rilevando a Solbiate Olona il Mulino Custodi, il cui cambio d’uso, da macina per il grano a forza idraulica, avvenne nel 1821. L’anno successivo si avviò la lavorazione di cotone con 153 operai di cui 12 donne.
Gli esempi a questo punto potrebbero essere centinaia. Proprio per le basi poste a inizio Ottocento con le prime attività manifatturiere Varese poté poi giocare un ruolo di primo piano nella rivoluzione industriale di fine secolo. Perché duecento anni fa iniziò a formarsi quella classe imprenditoriale, definita anche borghesia produttiva, che si è poi ramificata in decine di settori diversi e che ha saputo progressivamente trasformarsi di fronte alle non poche crisi che ha dovuto affrontare. Si può dire che i mulini hanno rappresentato un importante embrione industriale: perché avevano bisogno del lavoro organizzato di più persone, perché dovevano utilizzare al meglio l’unica fonte di energia allora presente, perché dovevano creare una filiera produttiva con un rapporto costruttivo con fornitori e clienti.
Alla base c’è comunque la passione per il lavoro, la volontà di utilizzare al meglio le risorse del territorio, la capacità di adattarsi alle circostanze sfavorevoli. La storia dell’imprenditoria varesina potrebbe diventare un manuale di management. In duecento anni tutto è cambiato: ma è rimasto al centro il valore della persona, il capitale umano, l’intelligenza e la creatività.
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