Le prossime elezioni amministrative non sono solo un importante banco di prova rispetto ai nuovi assetti politici consolidati a livello nazionale dal “Sistema Renzi”, ma costituiscono la verifica di una modalità politica nuova che si va affermando a livello locale. Stanchi della politica ideologica troppo legata ai vecchi schemi dei partiti tradizionali e della politica politicante funzionale a ristretti gruppi di potere economico e di opinione, i più intraprendenti hanno iniziato ad aggregarsi all’interno di liste civiche legate a personalità locali della società civile, autoproponendo le esperienze e le competenze maturate nei loro ambiti professionali, e mettendoli a disposizione della polis. Così anche a Varese si diffondono liste civiche legate a personalità note e stimate per il loro impegno nella società civile, incoraggiando tutti ad un impegno personale contro l’astensionismo e il disimpegno.
Vengono in mente le parole di una canzone di Giorgio Gaber che dice “libertà è partecipazione”, che riconosce come l’io non gode solo di una generica libertà di scelta, ma è protagonista in prima persona degli eventi che riguardano la vita di tutti. Così si affacciano alla memoria certi slogan di molti anni fa, quando il senso della partecipazione era praticato per la certezza di essere in sé indispensabili per la realizzazione di una società pluralista aperta e dialogica. Verso la fine degli anni ’70 era molto viva la percezione che partecipare fosse essenziale (si pensi agli organi collegiali della scuola dove i cattolici furono massicciamente presenti con la sigla “comunità educante e partecipazione democratica”, o ai vari ambiti di iniziativa e protagonismo che volevano riaffermare il diritto/dovere di una presenza nella società civile); ma era altrettanto evidente che il tradizionale strumento dei partiti non bastava più ad esprimere il desiderio di “esserci”, di cambiare partecipando alle tappe del cambiamento, perché la politica era letta come strumento di mutamento non solo di modelli esteriori di vita, ma dell’intera società.
Partecipare significava perciò non solo mettersi in gioco negli scontri ideologici-valoriali ma richiedeva la coerenza di un impegno in tutti gli ambiti per poter costruire l’edificio comune della società. Senza voler esagerare, bisogna però riconoscere che questo affronto anche del voto gli conferiva una valenza simbolica impegnativa del campo culturale in cui ci si voleva collocare, anche se spesso ciò si fermava sulla soglia di un discorso tanto teorico/ideologico quanto astratto ed utopico e perciò senza presa sulla realtà.
Certo il contesto di qualche decennio fa indicava l’espressione del voto come vertice della competizione politica e perciò come matrice della propria identità e ragione di un impegno dentro e fuori le istituzioni. Oggi si è affievolito il senso di una militanza ideale a favore di un modello più pragmatico dell’azione politica, e persino i profili dei contendenti sono diventati quasi sovrapponibili, soprattutto perché ognuno deve sottostare ad insormontabili limiti operativi e rimane prigioniero di condizionamenti economici e strutturali cui nessuno può sfuggire. Per non parlare della burocrazia che omologa tutti dentro la gabbia di cui i funzionari rimangono gli unici ad esercitare un’effettiva facoltà di controllo.
Per questo c’è da chiedersi: ma le elezioni sono alla fine solo un atto formale di democrazia procedurale, o possono diventare momento di un dialogo e di un confronto reale sull’immagine di città che si vuole vivere? E come recuperare l’interesse dei giovani elettori estirpando il tarlo della rassegnazione degli elettori più anziani?
L’unica risposta può giungere dall’effettivo coinvolgimento che i candidati sono capaci di mettere in moto, dal dialogo con la comunità cittadina che sapranno aprire e continuare, dalle proposte di città che offriranno. Per questo sarebbe un atteggiamento miope quello di disertare le urne, mentre è urgente mostrare nuove modalità di aggregazione tra gruppi diversi. Ripenso al mio primo voto per le amministrative del 1975 a Varese, e ricordo ancora che rimasi incuriosito da una “cordata” di candidati della stessa lista che si presentavano uniti (allora si potevano indicare sino a quattro preferenze) proponendo un progetto di città che avevano maturato insieme e nel dialogo con le esperienze di riferimento cui facevano capo. E proprio la presenza di un progetto condiviso mi fece pensare che c’era un impegno serio da prendere in considerazione, che poteva giustificare anche il mio voto. Oggi la situazione generale è molto cambiata, ma l’impegno dichiarato dai candidati sindaci per Varese fa ben sperare, anche perché a sostegno dei candidati più noti si sono affiancate liste di giovani entusiasti, desiderosi di mettersi alla prova per il bene comune e che segnano forse l’inizio di una svolta.
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