In questi giorni, in città, è stata scomodata la Madonna per trascinarla in campagna elettorale. Credo non avvenisse più, una cosa del genere, dal 1948. Probabilmente anche questo è un segno dei tempi…
Io non sono esperto di Madonne, ma quest’ultimo episodio mi ha fatto venire in mente che non tutte le Madonne sono uguali. E capita, talvolta, di incontrarne qualcuna che ha incontrato maggiori difficoltà di altre prima di essere accolta.
Dieci anni fa, nel 2006, alla fine di un lungo lavoro di formazione, studio e ricerca, vide la luce un volume che ricostruiva la storia di un pezzo di città, un quartiere di Varese non distante dal centro, ma quasi sconosciuto: il quartiere delle Bustecche. Un quartiere sorto in breve tempo in una vasta zona precedentemente caratterizzata da campi e cascine. In quella zona, a partire dalla metà degli anni Settanta, furono realizzati i primi insediamenti dell’allora Istituto autonomo per le case popolari. Tra i nuovi residenti, un peso rilevante fu rappresentato da famiglie di origine meridionale. E ben presto, tutto il quartiere fu etichettato come «meridionale». In quegli anni, a Varese, tale espressione non veniva usata come complimento.
Tra i fattori che contribuirono a identificare quella zona in tale modo, è da annoverare sicuramente la pratica di un culto tra i più popolari della religiosità campana: la festa della Madonna dell’Arco. A questa Madonna, la cui icona si trovava originariamente sotto l’arco di un antico acquedotto romano nei pressi di Pomigliano d’Arco, era attribuito un episodio miracoloso registrato il lunedì di Pasqua alla metà del XV secolo. In suo onore fu edificato l’omonimo santuario di Sant’Anastasia.
Il culto della Madonna dell’Arco ha viaggiato per l’Italia al seguito dei migranti, che, dalla Campania, sono partiti per andare in cerca di lavoro.
Alle Bustecche, la festa della Madonna dell’Arco si celebra ogni anno a partire dal 27 giugno del 1980. «Perché proprio alle Bustecche?», si chiedeva «La Prealpina» nel dare notizia di quella prima manifestazione in un breve trafiletto. «Perché qui vive un folto numero di napoletani, che dal Vesuvio hanno portato le loro tradizioni», spiegava il giornale.
Quella prima manifestazione riscosse un enorme successo, richiamando immigrati campani da tutta la provincia e suscitando, come scrisse a distanza di un anno il quotidiano locale, «l’interesse di numerosi antropologi e studiosi». L’anno successivo, per un intero fine settimana, il quartiere sembrò trasformarsi in un’appendice della Campania: le strade furono chiuse al traffico e furono illuminate a festa e alla processione parteciparono gruppi di fedeli detti battenti o fujenti, con i loro abiti tradizionali.
Gli antichi residenti, che avevano visto crescere intorno a sé un intero quartiere in modo disordinato, guardarono con sospetto e talvolta con preoccupazione queste manifestazioni religiose, così lontane dai riti cui erano abituati.
Solo nel 2000, con la costruzione della chiesa parrocchiale, la festa è diventata patrimonio del quartiere e la statua della Madonna “immigrata”, originariamente di proprietà privata, ha trovato accoglienza nell’edificio religioso.
Chissà…, forse si potrebbe provare a chiedere anche a questa Madonna, immigrata ma ormai ben inserita, un’intercessione particolare. Anche solo per un posto da consigliere comunale.
You must be logged in to post a comment Login