Iginio Pietro Teodoro Tarchetti (Iginio è il nome con cui si firmava, mentre lo pseudonimo Ugo fu aggiunto a partire dal 1864, in omaggio a Foscolo) fu tra i più importanti esponenti della Scapigliatura milanese. Ha lasciato diversi romanzi, racconti e poesie.
Le sue opere sono impregnate, in alcuni casi, di critica sociale con tesi antimilitariste, mentre alcuni racconti presentano un certo orientamento per il macabro. Il suo capolavoro è il romanzo Fosca, pubblicato postumo e terminato dall’amico Salvatore Farina.
Nacque nel 1839 a San Salvatore Monferrato (Alessandria) da agiata famiglia. Terminato il liceo iniziò una breve carriera nel commissariato militare ed ebbe l’occasione di partecipare, nel 1861, alla repressione del brigantaggio nell’Italia meridionale. Nel 1865 si dimise dall’esercito per motivi di salute e per aver redatto scritti contro l’organizzazione militare ed in generale contro le istituzioni basate sull’autorità.
Tornato a Milano, si legò all’ambiente della Scapigliatura, dandosi a un’esistenza inquieta, minata dalla tubercolosi e dalla miseria. Collaborò con numerosi giornali (quali Il Gazzettino Rosa e Il Pungolo), scrisse anche racconti, romanzi e versi. Stremato da questa attività letteraria, dalla miseria e dalla tisi, si spense nel capoluogo lombardo nel 1869 per un attacco di tifo a soli 30 anni.
Nel 1863 a Varese intrecciò una relazione sentimentale con Carlotta Ponti, testimoniata da varie lettere del suo epistolario. Questa vicenda ci é rivelata in un articolo di Dante Isella ne “La rotonda, almanacco luinese ” del 1982 col titolo “Luino, 1864: un suicidio mancato”.
Trasferito dal Sud, Tarchetti giunge a Varese il 26 marzo 1863 e scrive ad un amico: “Varese mi piace, a chi non piacerebbe? La natura mi commuove, mi rende triste; la bellezza delle donne, del cielo, delle campagne, mi fanno sospirare le mie speranze passate, e quell’ideale che non troveremo mai nella vita”. In tempi successivi cambierà idea definendo Varese “… questo maledetto paese o questo paese abborrito “.
Nel tempo libero privilegiava la solitudine durante lunghe passeggiate in campagna o talvolta visite al cimitero “…a contemplare il sonno degli estinti”!
All’inizio di giugno intreccia una relazione con la ventitreenne Carlotta Ponti, ragazza, malgrado la giovane età, con “…una leggenda di trascorsi”.
Questa relazione durò quasi un anno e viene documentata da settantun lettere che Tarchetti le scrisse. Non si sa in quale albergo il Tarchetti fosse alloggiato né dove fosse l’abitazione dell’ingegner Ponti, padre di Carlotta; tuttavia da una confidenza tramandataci dall’amico giornalista Francesco Giarelli apprendiamo che “ …Ugo, per entrare nella corte, scavalcava allegramente la cinta, balzava sopra un cumulo di fimo (letame), e in un amen era sotto la propizia barchessa”.
Scoperta la liaison, una sera l’ingegnere si appostò nel buio e il Giarelli continua a riferirci: “Appena vedutosi scoperto, Ugo spiccò quattro salti e balzò sulla contigua via. Il papà allora gli sparò addosso tre colpi di revolver e lo inseguì vociferando mattamente: “Dalli all’assassino! Dalli!”.
Dopo questo episodio il Tarchetti pensò di trasferirsi dall’albergo ad un appartamento di tre locali nella casa d’angolo a destra sulla piazza san Martino, voltando per andare a casa Speroni, numero 72 al terzo piano. Oltre a questa indicazione topografica solo due altre località sono indicate nelle lettere ovvero la Rotonda e Masnago.
Per concludere trascrivo la mancata tragedia del doppio suicidio concordato dai due giovani: “…cedendo alle istanze di Carlotta avevo condisceso a uccidermi seco, glielo avevo promesso in altro tempo, né poteva oppormi ora qualunque fosse la mia situazione morale… Luogo di convegno, Luino di là si sarebbe entrati nella Svizzera e compiuto il disegno nel maggior mistero possibile… Al giorno indicato giungo a Luino, cerco di lei, quell’infelice mi aveva prevenuto; temendo addossarsi il peso della mia morte, volle morire sola, si avvelenò con certo veleno avuto da un fotografo, ma io giunsi a salvarla, e quantunque miracolosamente é ancor viva”. Conclude la vicenda, riportata anche dai giornali, informandoci che Carlotta “… é disperata, ma sembra non volersi più uccidere”. Questa relazione si concluse con il trasferimento del Tarchetti a Milano nel 1864.
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