È una delle immagini devozionali più antiche e diffuse in Lombardia ma non è bastato a salvarla dalla censura. La Madonna del Latte era presente quasi in ogni chiesa quando i figli nascevano con più frequenza ed erano ritenuti doni del cielo. Rappresentava un sostegno al parto e ai problemi della maternità e inginocchiarsi davanti alla Madonna dava sicurezza e conforto alle madri in attesa.. Poi, dopo il Concilio di Trento, Carlo e Federico Borromeo intervennero per disciplinare l’arte secondo decoro e rigore religiosi e la rappresentazione di questo soggetto, affettuoso e popolare, fu abbandonata perché giudicata sconveniente.
Lo documenta la mostra in corso al Centro Espositivo Macchi fino al 22 maggio, a cura di Natale Perego e Alessandra Tarabochia, per iniziativa della Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese (aperta sabato e domenica dalle 9 alle 16, ingresso gratuito). Tredici pannelli raffigurano una cinquantina di opere, prevalentemente affreschi di chiese e oratori secondari disseminati tra la Brianza, il Lecchese e il triangolo lariano. Non sono citati, perché fuori del territorio preso in esame, gli esemplari del Museo Baroffio: un bassorilievo in marmo di Candoglia del XV secolo e una tempera su pergamena di Agostino Decio intitolata Riposo durante la Fuga in Egitto.
Correzioni e censure costituiscono una chiave di lettura marginale, ma non priva di significato poichè documentano una pratica frequente nei confronti di un tema caro agli allievi e ai seguaci di Leonardo. Scriveva il cardinale Federico Borromeo nel capitolo della sua opera “De pictura sacra” (1624) dedicato al nudo: “Appare ancora la sconvenienza di quelli che effigiano il divino Infante poppante in modo da mostrare denudati il seno e la gola della Beata Vergine, mentre quelle membra non si devono dipingere che con molta cautela e modestia”.
Nel santuario della Madonna di Campoè a Caglio fu eseguito nel 1951 lo strappo dell’affresco della Madonna del Cardellino per portarlo su tela e l’operazione rivelò lo strato di una Madonna del Latte del 1508 ritoccata nel XIX secolo nascondendo il seno. Un caso simile è venuto alla luce con lo strappo dell’affresco eseguito nel 1943-1945 nella chiesa della Madonna di San Martino a Valmadrera. Qui la “pruderie” censoria aveva cancellato il seno della Madonna e la mano del bambino che si aggrappava alla madre. L’immagine restaurata è poi stata collocata sull’altare maggiore.
La materna immagine della Madonna che nutre il figlioletto era un’iconografia diffusa a partire dal Due e Trecento ma fu il secolo successivo a segnare l’inizio della sua fortuna con immagini spesso ripetitive della Madonna in trono, la raffigurazione del seno simbolica e il bambino benedicente. Nel Cinquecento, con il passaggio dal gotico al rinascimentale, la Madonna diventa più materna e la raffigurazione più tecnica. L’atto dell’allattamento è reale, il bambino è spesso raffigurato nudo, c’è una maggiore libertà compositiva e più attenzione alla realtà fisica e umana con un tocco di grazia e dolcezza.
A Santa Maria Nascente di Sabbioncello di Merate, ben cinque Vergini allattanti accolgono i fedeli tra affreschi di natività, Madonne in trono e santi francescani. In San Leonardo a Brivio la Vergine di fine XV secolo presenta un morbido incarnato e larghe pieghe dei panneggi che ricordano la lezione leonardesca del Boltraffio o della scuola del Luini. In San Teodoro a Cantù, Marco Lombardi dipinge con originalità la seggiola regale decorata e il bambino che s’arrampica sul grembo materno. A Concese di Trezzo d’Adda è ancora forte la devozione delle madri in attesa che consacrano i neonati alzandoli verso l’immagine della Madonna del Latte nel santuario carmelitano della Divina Maternità.
Nelle chiese varesine, in particolare in Valveddasca e in Valdumentina, non mancano esempi ispirati ai Vangeli apocrifi, più descrittivi e ricchi di particolari rispetto ai sobri Vangeli canonici. Una recente e bella mostra presentata a Maccagno dalla giornalista Clara Castaldo ha focalizzato la figura di Antonio da Tradate, quattrocentesco artista di Locarno autore d’affreschi tardogotici sulle sponde del Verbano, tra cui una Crocifissione collocata in origine sul muro esterno di una casa di Campagnano. L’affresco fu strappato negli anni Sessanta del secolo scorso e oggi è conservato nel municipio di Luino.
“Antonio da Tradate dipingeva soggetti popolani nelle chiese e sui muri interni ed esterni delle case, crocefissi e madonne del latte, figure degli apostoli, degli evangelisti e dei dottori della Chiesa – spiega Paola Viotto – Amava illustrare cicli narrativi completi raccontando il sacro nella vita quotidiana ambientandovi magari l’uccisione del maiale. Completava i dipinti con scritte in latino e in dialetto, una sorta di catechismo per immagini, fumetti sacri che comunicavano la fede. I committenti appartenevano spesso alle comunità locali per le quali il tema sacro era importante. I cartigli rivelano influenze colte, a volte tratte da testi presenti nelle abbazie inglesi e nei libri miniati delle case reali europee”.
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