Il volto della crisi a Tor Bella Monaca é quello di tristi casermoni in grigio cemento, stradoni che avrebbero bisogno di una buona asfaltata, rottami sparsi qua e là.
Periferia sud della capitale: in uno dei tanti quartieri dormitorio la sfida di un gruppetto di cattolici dell’associazione “Libertà vo’ cercando” è di rendere possibile l’incontro con Cristo in un posto che al massimo aspira alla ribalta della cronaca nera dei giornali.
Per fare questo i giovani hanno aperto un centro di aiuto allo studio che al pomeriggio assiste gratuitamente ragazzi che frequentano la scuola o l’università mentre i volontari del “banco di solidarietà” girano per i palazzoni portando pacchi di viveri a chi ne fa richiesta.
Nelle scorse settimane hanno distribuito davanti ai mercati e ai palazzi il volantino scritto da Comunione e Liberazione “La crisi, sfida per un cambiamento” invitando gli abitanti di questo immenso quartiere-satellite ad un incontro pubblico. Alle otto della sera di un martedì ci si potrebbe aspettare una sala mezza vuota: invece tutti i posti a sedere sono occupati e c’é persino gente in piedi.
A convincere che in ogni dramma della vita – di qualunque natura ed entità – ci sia una possibilità di bene, non sono i discorsi o le analisi sociologiche, ma le storie di Roberto, Sandro, Lorenzo. Lui è il più giovane, cresciuto nel grigiore di Tor Bella Monaca, un quartiere che non vuole abbandonare, tanto da aver messo in piedi la sua impresa proprio qui. Un piccolo impianto sportivo, creato grazie alla laurea in economia, alla passione per il calcetto e, soprattutto, alla compagnia di amici che – in mezzo a mille difficoltà – hanno sempre accompagnato il suo desiderio di realizzarsi .
È lo stesso bisogno che ha spinto Sandro, cinquantadue anni, ad aprire in piena crisi economica una piccola pizzeria. Già proprietario di un grande ristorante, quando torna dal lavoro é stanco di vedere suo figlio, che aveva abbandonato gli studi, ciondolare tra TV e computer. Finché una volta dopo l’ennesima discussione gli domanda a bruciapelo: “Ma tu ci staresti a mettere su una impresa con me?”. Inaspettatamente il ragazzo risponde di sì. “Così é nata la sfida” racconta. Per concludere con un pizzico di soddisfazione: “Ha persino inventato un nuovo metodo di lievitazione della pizza”.
È lo stesso impeto verso un destino buono che ha permesso a Roberto, giovane fisico, di sposarsi con un misero assegno di ricerca che arrotonda con qualche ore di insegnamento. “L’unico di un gruppo di una quarantina a voler restare in Italia quando il ritornello di tutti in Università é: “andate a cercare all’estero” sottolinea.
“Sono storie dell’Italia che sa ricominciare” commenta Franco Bechis, vice-direttore di “Libero”, uno dei moderatori dell’incontro. È il caso di Filippo La Mantia: fotografo di cronaca nella Sicilia della mafia, finisce in carcere per un equivoco. Come nel bel film di Paolo Sorrentino “L’uomo in più”, si reinventa cuoco tra le quattro mura del carcere per soddisfare le voglie dei boss in cattività. Ora é uno degli chef più affermati della capitale.
“Che cosa accompagna questi tentativi positivi di cambiamento?” si é domandato Roberto Gerosa, avvocato, l’altro moderatore del dibattito. “La convinzione –risponde- che la realtà, anche quando appare negativa e difficile come é oggi, rimette in gioco la voglia di costruire, impegnarsi, conoscere passando la nebbia di omologazione costruita in tanti anni. La strada per attraversare la crisi senza rassegnarsi é vivere la realtà come una provocazione che ridesta il desiderio e la domanda che per quanto riguarda il nostro Paese significa ingegno, creatività, forza di aggregazione”. Di questi tempi non é una sfida da poco.
You must be logged in to post a comment Login