Nell’era delle notizie in tempo reale, delle radio di ogni genere, delle stazioni televisive moltiplicate come cavallette, di internet, dei social network partecipati da folle sterminate di gente ansiosa di comunicare pure quando nulla o quasi ci sarebbe da dire, la cifra reale di questa “informazione” planetaria è l’esagerazione, l’esasperazione premeditata dei toni e sempre più spesso l’amplificazione sistematica dell’irrilevanza. In altre parole “Annibale è sempre alle porte” e veste alternativamente tutti i panni possibili della griglia informativa tradizionale: dalla politica allo sport, dall’economia alla cronaca nera passando ovviamente per le informazioni meteo alle quali viene dedicata un’attenzione al limite del morboso.
Un caso ormai classico e oggi d’attualità stretta è quello del maltempo che, come di norma accade in questo periodo, ha il volto grigio e freddo dell’inverno su quasi tutto il continente europeo. Una normalità che a seconda delle latitudini assume tinte più o meno decise e mutevoli da un anno all’altro come documentano del resto le statistiche meteorologiche. Ma questa normalità non fa notizia, non colpisce l’utente o il lettore e allora al primo scendere dei termometri sotto lo zero, alla prima neve invocata e poi subito maledetta per gli inevitabili disagi che provoca in una società super motorizzata, ecco scatenarsi tra i vari media una sorta di corsa al tanto peggio tanto meglio e alla retorica dominante delle emergenze perenni. E allora i titoli più abusati sono: “L’Italia nella morsa del gelo – Temperature polari in Val Padana” e altre amenità dello stesso genere.
Alla corsa all’allarmismo non si sottrae certo il servizio pubblico RAI che, per statuto, dovrebbe dare informazioni circostanziate senza gonfiare, come si dice in gergo giornalistico, i fatti. Figuriamoci, accade esattamente il contrario. Nei giorni scorsi di basse temperature, di gelo relativo e di neve umida, un avventurato cronista della sede di Torino descriveva nei giornali radio di prima mattina, la pianura piemontese come un’appendice della steppa russa. “Un vento siberiano sta spazzando il Canavese” diceva concitato evocando improbabili scenari che parevano tratti da un “Dottor Zivago” domestico. Chissà cosa direbbero di questa rappresentazione fuori misura e ridicola della realtà Mario Rigoni Stern, Primo Levi e Fausta Cialente, tra scrittori che hanno conosciuto e raccontato il gelo, la neve, il vento degli anni di guerra, in Russia, ad Auschwitz, a Milano. Sì, a Milano dove la scrittrice ambientò il suo splendido “Un inverno freddissimo”, quello del ’47, con le macerie per le strade, le case superstiti prive di vetri, la penuria di legna e carbone, il razionamento alimentare. Se avessero letto almeno uno dei tre narratori – ma anche molti altri è ovvio – i cronisti nostrani delle emergenze climatiche locali, imparerebbero forse a relativizzare un po’ il loro epico narrare da redazioni calde e accoglienti.
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