Mi è capitato tra le mani un intervento del compianto onorevole Aldo Moro, sulla possibilità d’azione del Governo, che dimostra con semplicità e chiarezza quanto sia difficile creare un rapporto di fiducia tra lo stato e gli altri organismi istituzionali, proprio perché la democrazia, per sua natura, è un mosaico di aspirazioni alla costante ricerca di una sintesi, di un confronto dialettico che trovi maturazione e stabilità per esprimere tempestivamente ciò che la società civile si aspetta.
Ecco il passo di Moro: “La gente pensa che noi abbiamo un’autorità immensa, che possiamo fare e disfare tutto, e per di più impunemente. Una parola del Presidente del Consiglio, una firma d’un ministro e tutto è risolto, qualunque affare lecito o illecito può diventare una realtà. Come se noi disponessimo di una bacchetta magica e potessimo usarla come ci pare.
Questo pensa la gente. E invece non è vero niente… Ecco cosa penso: che il potere esecutivo, o meglio la classe politica che è al vertice del potere esecutivo, ha limitate possibilità d’intervento e di comando. Questo è proprio del regime democratico, il quale è un complesso di autonomie istituzionali, territoriali, professionali che si compongono in unità con uno sforzo che solo in modesta misura può essere sospinto e favorito dai pubblici poteri. Quando poi questa esperienza non sia sorretta da una solida tradizione e da un profondo senso civico il lavoro di sintesi è ancora più faticoso e di esito incerto.
Naturalmente, proprio per queste caratteristiche, il sistema democratico è così alto e nobile, tanto più umano di altre forme di ordinamento politico. Ma certo in una democrazia come la nostra, non ancora del tutto matura e stabile, lo Stato manca sovente d’una sua volontà unitaria e comunque non ha i mezzi per esprimerla tempestivamente. Vi sarà qualche abuso, naturalmente, ma in complesso credo che la nostra crisi sia piuttosto nel senso che manca un’azione rapida ed efficace, quale l’avanzata evoluzione della nostra società richiederebbe per ragioni psicologiche oltre che per il fatto che ad un certo modo di essere della società deve corrispondere un certo meccanismo politico e amministrativo. Non abbiamo ancora saputo e potuto trovare questa uguaglianza di ritmo, questa sintonia. Mi comprenda. Non abbiamo sufficienti poteri, perché essendo e volendo essere, dei democratici, la sintesi politica, che condiziona la nostra iniziativa, è lenta e difficile.
Certe reazioni dell’opinione pubblica a taluni episodi non aiutano a risolvere questo problema di fondo, a trovare il ritmo giustamente veloce. Talvolta creano scompiglio ed aggravano la situazione. È giusto certo parlare dello Stato e chiedere allo Stato una volontà vigorosa, una politica incisiva. Ma bisognerebbe andare più in là e cogliere l’altra faccia del potere dello Stato, quel complesso di organismi, di gruppi, di persone nei quali il potere concretamente s’incarna e si articola. Non si tratta di automi.
È ben comprensibile che si prospettino qui interessi, ideali, particolari vedute. Il potere come comando è condizionato da potere come concreta istituzione e dagli uomini che la esprimono. Non si ha idea delle energie che i ministri impiegano per trovare un raccordo con gli organi, dentro e fuori della propria amministrazione, che concorrono a fare operare lo Stato. Non me ne stupisco certamente, ma vorrei richiamare l’attenzione sull’impegno e sul tempo che questo modo di agire richiede. Così l’attività governativa risulta ripiegata su se stessa o, se si vuole introflessa”.
È estremamente interessante ciò che l’onorevole Aldo Moro afferma e proprio per questo merita una riflessione, anche perché l’attività del pensiero appartiene a un divenire che coinvolge anche lo spirito critico dei cittadini e di tutti coloro che amano mettersi in gioco nella ricerca di stili, modalità e iniziative, senza pregiudizi, con animo aperto. Il “passaggio” evidenzia quanto sia difficile costruire quotidianamente un sistema democratico agile e pronto, quanto costi costruire una maturità e una stabilità politica che consentano di arrivare, in tempi non troppo lunghi, alla sintesi esecutiva. La democrazia è grande proprio perché raccoglie istanze, aspirazioni e atti che esprimono la libera volontà di un popolo, ma contemporaneamente quanto sia difficile riuscire a conciliare, a unificare, a tradurre in sintesi la volontà, anche a causa della eccessiva frammentazione dei poteri territoriali e dei gruppi istituzionali.
Forse Moro allude alla realizzazione di uno Stato meno burocratico, più snello, più diretto nella espressione dello spirito democratico, che potrebbe facilitare l’azione del Governo. Da un lato si riconosce la concretezza democratica del decentramento, dall’altra si percepisce la difficoltà a sviluppare decisioni rapide ed efficaci. Diventa infatti difficile comandare quando le voci in campo sono diffuse in articolato complesso di autonomie istituzionali, territoriali e professionali. Moro riconosce la forza, ma anche i limiti dello Stato democratico che diventa carente sotto il profilo del comando. Definisce i limiti di una struttura passibile di innovazioni e cambiamenti, perché democrazia non è stagnazione, immobilismo, ma soprattutto ricerca di maturità e di stabilità, contribuendo alla sua costruzione sulla base di precise responsabilità e nella chiarezza di ruoli e competenze.
Nelle parole di Moro si percepiscono i limiti dell’attualità democratica, la sua complessità, ma anche le potenzialità, che dipendono per intero dalla capacità legislativa di chi è stato delegato al funzionamento del paese.
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