(O) Sarai contento, caro il mio vecchietto, della notizia dello sviluppo dell’auto senza pilota! Sia perché tra un po’ potresti diventare un guidatore troppo pericoloso, sia perché anche l’imbranata di tua moglie, che non ha mai fatto la patente, potrà finalmente andare a far la spesa da sola.
(S) Quanti incidenti in meno! E la riduzione dello stress, l’abolizione delle tue arrabbiature quando ti sorpassano, bruciando il divieto di sorpasso e quello di velocità e mai che li becchino.
(O) La Stradale potrebbe programmare le partenze: un bel cervellone raccoglie le prenotazioni per la gita ai laghi o l’esodo estivo, ci mette tutti in fila e ci porta a destinazione senza intoppi e senza imprevisti. Anche perché se l’auto impara a guidarsi da sola, avrà prima imparato a farsi il controllo e la manutenzione di tutti i meccanismi, andrà da sola dal meccanico-robot, a rifornirsi di carburante, pardon di elettricità, dal distributore-robot e e e …
(C ) Siete molto fiduciosi, ma è inutile andare avanti, con queste visioni, tanto io, con l’età che ho, avrò la fortuna di non arrivare a vedere tutto ciò, non per l’auto intelligente, ma per quello che comporta una simile prospettiva nella vita sociale. Forse avete un po’ esagerato nell’enfasi futuristica, accade sempre nei primi decenni dei nuovi secoli, proprio come per i Futuristi di cent’anni fa. Non vi nascondo una seria inquietudine. Non vado ad immaginare che il microchip inserito nell’auto che trasmette tutti i dati all’algoritmo del ministero della programmazione del traffico privato possa svelare al Potere Occulto e Forte ogni mio piccolo segreto, tanto meno che me lo impiantino direttamente nel lobo auricolare come ai cani. È anche vero che, se anni fa mi piaceva guidare, oggi lo trovo faticoso e gradisco qualche aiuto come il cambio automatico e il navigatore, ma proprio come aiuti, non come sostituti. L’universo tecnologico non mi fa paura in sé, mi preoccupa la possibile connessione con forme di potere oggi imprevedibili. Prendete un pezzo dell’intervista di Marchionne1: “Google può comperare qualsiasi costruttore di auto con un esborso di cassa per loro insignificante. Apple fa un utile netto di 24 miliardi al trimestre. Dobbiamo sfidarli? E perché?”. Non vi fa paura una tale concentrazione di potere tecnologico, finanziario, occupazionale, non pensate che diventerebbe presto anche sociale, culturale, politico?
(S) Giusto anzi, inevitabile, quanto sostiene Marchionne. L’articolo prosegue, suggerendo di evitare “la figuraccia di quei costruttori di carrozze a cavalli che non vollero allearsi, a fine Ottocento, con i produttori di motori a scoppio”. Aggiungo io, come quei mulattieri del Canton Uri che si opponevano al traforo del Gottardo per non perdere il loro lavoro. È il progresso, bellezza. E non è riserva di caccia solo dei sognatori. Anche noi conformisti e opportunisti crediamo nel progresso, anzi più dei sognatori, perché lo possiamo misurare fin d’ora, facciamo un business plan, creiamo una start up, raggiungiamo il breakeven point, ci quotiamo al Nasdaq ed è fatta, a prova d’errore.
(O) Come la guida autonoma dell’auto: a prova d’errore! Immagina gli sviluppi: compiti in classe a prova d’errore, idraulico a prova d’errore, appalti pubblici a prova d’errore, arbitri di calcio a prova d’errore, allenatori del Milan a prova d’errore, bungabu…
(S) Fermati, qui, non esagerare.
(C) Siete proprio sicuri che un sistema automatico sia esente da errori? Il vostro slogan mi riporta alla mente l’identico titolo di un film di Sidney Lumet, ‘A prova d’errore’, dove si racconta di una guerra nucleare che sta per scatenarsi a causa di un errore del complesso meccanismo (siamo nel 1964) che controlla la ritorsione atomica in caso di attacco a sorpresa. All’errore della macchina si aggiungono quelli umani delle due parti, vuoi per diffidenza vuoi per un senso del dovere che oltrepassa anche i più profondi affetti umani: se l’ordine è dato dalla ‘macchina sicura d’errore’, non resta che obbedire a qualsiasi costo. Per fortuna, qualche mese dopo uscì ‘Il dottor Stranamore’, sullo stesso tema e rimuovemmo l’angoscia con quattro risate. Ma voi non potete capire, allora io ero universitario, mentre voi siete entrati alle medie dopo la caduta del muro di Berlino.
(S) Ma sì, li ho visti al cineforum, quei film, anticaglie. Ho visto anche ‘War Games’, una favoletta per bambini, dove si immagina che i capi militari americani, stanchi di vedere che nelle esercitazioni simulate ‘cieche’ i subordinati si rifiutino di lanciare effettivamente i missili atomici, affidano tale compito ad un supercomputer. Un ragazzino riesce ad inserirsi nel computer e gioca con lui alla guerra nucleare, con il rischio che dal gioco si passi alla realtà. Tutto si salva perché il computer, invitato a giocare con se stesso a Tris, scopre che ci sono situazioni da cui nessuno esce vincitore e rinuncia perciò alla ritorsione nucleare al presunto attacco nemico. La macchina impara dall’esperienza: una favoletta, anzi una balla atomica.
(C) Ma torniamo a noi. Oltre all’errore della macchina, per un guasto o semplicemente perché nessun sistema può tener conto dell’imprevisto, c’è un rischio ancor più grande, che è l’abolizione del percorso dell’apprendimento. La formazione della persona passa attraverso un processo individuale di interiorizzazione delle ragioni e delle emozioni che accompagnano una scelta, non riducibili ad un bagaglio d’informazioni, seppur vastissimo, accessibile nella rete. Non possiamo rinunciare alla responsabilità, sarebbe come rinunciare alla libertà. Ma responsabilità significa fare i conti con i propri errori e anche imparare da essi, facendo esperienza. Il grande Galileo ripeteva che si impara ‘provando e riprovando’, dove però questa parola non significa ‘provare di nuovo’, ma nel senso di ‘riprovazione’, di riconoscere la negazione dell’ipotesi, a motivo del fallimento dell’esperimento. In sostanza, l’uomo impara più dai propri errori che dai ragionamenti astratti. Lasciateci la possibilità e il gusto d’imparare, sbagliando.
(S) Certo tu imparerai molto, perché di sbagli continuerai a farne molti, continuerai a sbagliare strada, ad arrivare in ritardo, a perdere le mail, a non prevedere il meteo, a non leggere le breaking news in tempo reale, a non saper questo e quest’altro. Ma comprati almeno, al posto del catorcio che hai, uno smartphone anche piccolino, che, per non sbagliare incrocio, ce l’hanno anche i vucumprà.
(O) Non tutti sono in grado d’imparare dagli errori, ci vuole un po’ d’intelligenza e molta umiltà. E magari qualche sanzione. Non stai attento anche tu ai limiti di velocità sul ponte Kennedy o sulla Ghisolfa da quando hai pagato delle belle ammende? È un modo diverso d’imparar sbagliando.
(O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi (C) Costante
Nota 1. Intervista al sito Automobilemag.com, riportata da ‘la Repubblica’, 5/5/2016.
You must be logged in to post a comment Login