Secondo un vecchio proverbio inglese “quando scoppia una guerra la prima vittima è la verità”. Nel caso del Brennero per fortuna non si è arrivati a tanto, ma la prima vittima è la stessa. Tra le parti in causa non ce n’è una che sia tanto immacolata quanto pretende di essere. Né il nostro governo né quello austriaco stanno affrontando limpidamente la questione. Secondo il premier Renzi il comportamento dell’Austria è “sfacciatamente contro le regole europee, oltre che contro la storia, contro la logica e contro il futuro”. Al di là del fatto che l’Austria non intende affatto chiudere il Brennero, ma solo ripristinare dei controlli di frontiera — come a Roma il ministro degli Interni austriaco Wolfgang Sobotka ha confermato ad Alfano — il brutto è che il perentorio giudizio di Renzi potrebbe venire tranquillamente applicato anche all’Italia.
Siccome è una buona regola vedere il trave che si ha negli occhi prima di disquisire sulle pagliuzze che stanno negli occhi degli altri, partiamo dal nostro Paese. Diciamo ancora una volta che l’intero sistema basato sugli accordi di Schengen e di Dublino — definito in tempi in cui i richiedenti asilo erano meno di un migliaio all’anno invece che un migliaio al giorno — non funziona più. In quanto prima porta d’ingresso da Sud nell’Unione Europea il nostro Paese avrebbe dovuto sollevare subito il problema e chiedere la riforma di quegli accordi, e invece non l’ha fatto.
Fermare, filtrare e identificare migliaia di persone significa alloggiarle, nutrirle e assisterle in strutture da cui non debbono peraltro potersi allontanare fino al termine della procedura che le riguarda. Occorrerebbe a tal fine disporre in misura adeguata di strutture apposite che non esistono, e costruire e gestire le quali costerebbe centinaia di milioni di euro. Significa poi essere organizzati per rimpatriare coloro che non hanno titolo per venire accolti. Significa infine aver chiaro che cosa fare e dove mettere coloro che non è stato possibile identificare. E tutto questo con il problema nel problema costituito dai cosiddetti “minori non accompagnati” (di solito non fuggiti ma allontanatisi da casa d’intesa con i loro genitori per tentare così la carta della migrazione). Giungendo non accompagnati, questi minori sono in ogni caso giuridicamente in stato di abbandono e quindi devono venire affidati a comunità di accoglienza o a famiglie.
È giusto che i Paesi di prima accoglienza si accollino da soli l’onere e la spesa di una tale organizzazione? Evidentemente no. Invece però, dicevamo, di porre tempestivamente il problema in sede europea, i nostri governi, non solo l’attuale ma anche quelli precedenti, hanno pensato di cavarsela lasciando scappare in tutta la misura del possibile i richiedenti asilo dai nostri pochi centri di prima accoglienza senza né filtrarli, né identificarli. E lo stesso a loro volta hanno fatto l’Austria e altri Paesi di transito. Finché sono rimaste aperte le frontiere della Germania e quelle della Svezia, ossia dei Paesi che verso cui tutti o quasi questi migranti irregolari erano diretti, la gherminella ha funzionato. Adesso Germania e Svezia hanno chiuso le porte e la gherminella non funziona più. A questo punto tutti i Paesi di transito si sono messi a chiudere a cascata i compartimenti stagni e sta anche cominciando il flusso inverso: quello di migranti che, respinti alla frontiera tedesca, tornano indietro. Per liberarsene l’Austria cerca allora di instradarli da dove gli sono venuti argomentando che, a norma del trattato di Dublino è l’Italia, in quanto Paese di primo arrivo, che deve registrarli, filtrarli e così via. Questa è la situazione, da cui nessuno esce bene. Non l’Austria, ma neanche l’Italia e tanto meno gli altri Paesi coinvolti, Germania inclusa. Stando così le cose, sarebbe più dignitoso che dal nostro governo, nonché dal coro dei telegiornali e dei giornali governativi, non venissero grida di dolore perché l’Austria si sta costruendo al Brennero le strutture necessarie per fare quello che noi non abbiamo fatto in Sicilia.
Si assiste poi a una strana alleanza obiettiva tra governo, “antagonisti” e anime belle di un certo volontariato, ahimè spesso cattolico, che sposa (speriamo in modo inconsapevole) il metodo dell’«agitazione» di antica matrice marxista rivoluzionaria. Il metodo in forza del quale il problema dei migranti viene portato alla ribalta non allo scopo di affrontarlo e possibilmente di risolverlo ma solo per usarlo politicamente. Rientra in tale orizzonte la manifestazione inscenata il 24 aprile al valico del Brennero dagli “antagonisti” italiani. A gente come loro la sorte delle persone dei migranti interessa poco o nulla. Ai loro occhi i flussi migratori indiscriminati e incontrollati vanno sostenuti e possibilmente incentivati semplicemente in quanto utili per sgretolare la società europea e la sua identità culturale aprendola così a una nuova stagione rivoluzionaria dopo quella che tragicamente fallì nel secolo scorso.
A sentire poi certe dichiarazioni di membri del nostro governo riguardo all’Austria si ha l’impressione di dover fare purtroppo i conti con dei dilettanti allo sbaraglio. L’Austria è un vicino di casa e insieme un Paese danubiano con forti legami con l’Est europeo. È inoltre uno Stato neutrale e uno dei sei membri dell’Unione Europea che non fanno parte della Nato. Con l’Austria abbiamo dei problemi ma anche degli interessi in comune, e il suo ruolo internazionale è maggiore di quanto di solito ci si immagina. La gestione dell’attuale emergenza conferma quanto questo governo quasi soltanto tosco-laziale sia remoto dagli interessi e dalle sensibilità della parte dell’Italia che è più direttamente connessa con il resto dell’Europa.
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