“La pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creati, proporzionati ai pericoli che la minacciano… L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra! L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutti assieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto… Il governo francese propone di mettere l’insieme di produzione di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità …[che] assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della federazione europea”…
Robert Schuman, ministro degli esteri francese, pronuncia queste parole davanti a un folto gruppo di giornalisti di tutto il mondo, convocati in gran fretta nel salone dell’orologio del Quai d’Orsay. Sono le 18 del 9 maggio 1950, un lunedì proprio come quest’anno.
Gli siede accanto Jean Monnet, un suo fedele e accorto collaboratore, che gli aveva consegnato il precedente 28 aprile un suo pro-memoria concernente una idea per la riconciliazione franco-tedesca: mettere l’insieme di tutta la produzione di carbone e acciaio, di cui il sottosuolo francese e tedesco era ricco e il cui possesso era stato causa della guerra franco-prussiana e di due guerre mondiali, sotto la sorveglianza di un’unica Alta Autorità sovrana ed indipendente. Se Monnet è l’ideatore del rilevante piano, Schuman ne sarà il realizzatore.
Durante il fine-settimana del 1° maggio, Schuman, nella quiete della sua dimora sulle colline che circondano Metz, la capitale della Lorena, il ministro legge e rilegge la bozza del documento di Monnet, vi apporta precisazioni, cambia e sposta l’aggettivazione e soprattutto vi aggiunge il preambolo che passerà alla storia. Lunedi’ 2 rientra a Parigi con l’intenzione di fare “sua” l’idea di Monnet.
Ma bisogna fare presto: per il 10 maggio era stata convocata a Londra una riunione degli alleati per discutere proprio del problema tedesco. Schuman spiana il terreno. Convoca il suo capo di gabinetto, gli confida le sue intenzioni, ma nel contempo gli ordina la massima riservatezza. La sera dell’8 invia un suo consigliere a Bonn per informare del suo progetto il cancelliere Adenauer, mentre egli stesso si dirige all’aeroporto per salutare il Segretario di Stato Acheson che, diretto a Londra, fa scalo nella capitale francese. Schuman ne approfitta per accennargli in termini vaghi della sua iniziativa.
L’indomani è convocato il Consiglio dei ministri. Il presidente Bidault aveva ricevuto alla fine di aprile da Monnet lo stesso documento consegnato a Schuman, ma aveva dimenticato di leggerlo. Schuman aveva svelato solo a due suoi colleghi il suo piano e si era assicurato il loro appoggio. Verso mezzogiorno il Consiglio era terminato e aveva dato il “via libera”al ministro degli esteri.
Schuman ora era li’, davanti a tutto il mondo, a leggere con la sua voce sorda e contrastante, la dichiarazione storica. Il fine è nobile, elevato: assicurare la pace a quei paesi che volessero aderire al suo progetto. La sua non è solo scaltrezza diplomatica, è una certezza. Come un profeta biblico, non predice il futuro, ma l’annuncia e lo prepara.
Per Schuman, la pace non è solo assenza di guerra, ma è un cammino tutto in salita da compiere assieme a tutti gli uomini di buona volontà. Parte lui per primo, rappresentante di un paese vincitore e tende la mano al paese vinto con un gesto di riconciliazione e di perdono.
Gli si affianca subito Jean Monnet, agnostico e tecnocrate; lo seguono altri due uomini di frontiera, cattolici, il renano Adenauer e il trentino De Gasperi; il lussemburghese Bech; il protestante, liberale belga, Rey con i suoi connazionali Spaak, socialista, e l’indipendente Beyen; il cattolico olandese van Zeeland. Più tardi, raggiungerà il coraggioso manipolo, l’italiano, comunista, Arturo Spinelli che, confinato dal fascismo a Ventotene aveva pensato, assieme al suo compagno di prigionia Ernesto Rossi alla federazione degli stati d’Europa come baluardo per difendere la libertà.
Uomini di tutte le fedi religiose, di tutti i partiti che hanno pensato ed agito con vigorosa forza morale per costruire la comune casa europea. Uomini, diversi per formazione e carattere, ma uniti dall’imperativo di unire i popoli d’Europa in un comune destino. Politici che avevano vissuto le tragedie dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale.
Se la pace è la meta finale, i traguardi intermedi sono rappresentati dalle “realizzazioni concrete” da attuare con pazienza unita alla tenacia. Occorrerà prima di tutto educare allo “spirito europeo” combattendo le pretese egemoniche, i nazionalismi, le protezioni autarchiche e gli isolamenti culturali. Tale fine sarà raggiunto con l’unità politica dell’Europa. A tal fine Schuman e gli altri padri fondatori sceglieranno la strada che porta all’armonizzazione delle diverse economie e, successivamente, alla creazione di un mercato comune, a una moneta unica.
Schuman è realista, ma non pragmatico. Sa che non si potrà arrivare all’obiettivo primordiale “in una sola volta”, ma passo dopo passo. In questi 66 anni, l’Europa ha camminato tra le luci dei successi ottenuti e le ombre dovute in massima parte agli egoismi degli stati nazionali, gelosi della loro sovranità, timorosi di cedere all’Europa le proprie competenze.
I traguardi intermedi saranno raggiunti in uno spirito di “una solidarietà di fatto” fondata sulla conoscenza, la comprensione e la fiducia reciproca in modo tale da costruire un’Europa più prospera e giusta, rimuovendo le cause che impediscono migliori condizioni di vita per tutti. La solidarietà è il cemento che rinsalda nell’unità paesi diversi. In tutti i suoi discorsi e scritti, Schuman è convinto che la cooperazione, non solo economica, salvaguardi meglio gli interessi di ciascun paese in una comunità che non nel singolo paese.
Gli interessi della comunità saranno affidati a “ una comune Alta Autorità…prima tappa della Federazione europea”. L’idea d’ Europa di Schuman non corrisponde a quella di “inter-governabilità”, cioè a un’associazione di stati-sovrani o a quella di un “super-stato”, neanche a quella di uno stato federale, ma il suo pensiero si dirige piuttosto verso una “federazione di stati” sovranazionale che si incarni in comuni istituzioni imparziale e indipendenti sottratte agli egoismi nazionali.
La pace, con i suoi corollari di libertà, di giustizia, di democrazia, realizzazioni concrete, solidarietà, sovranazionalità saranno le stelle polari che guideranno il cammino verso l’unità europea. Sono valori conformi alla fede cristiana che Schuman ha testimoniato con il suo impegno. Per lui fede europea e fede cristiana sono legate. Lascia a Monnet i problemi d’organizzazione, egli preferisce “educare” all’Europa, darle un senso.
È quello che manca oggi. “Fare” l’Europa non è solo una visione politica, non è un sogno sentimentalista: è un’impresa possibile, ma difficile. “Niente di duraturo si compie facilmente” – diceva spesso Schuman. Purché, aggiungiamo noi, si abbia la volontà spinta da una grande fede. È quello che manca oggi.
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