Il suo impegno quotidiano spesso superava le 12 ore, se c’erano interventi delicati particolarmente adatti alla sua abilità di chirurgo, ritornava al Pronto Soccorso anche se lo aveva lasciato da poco: instancabile nel suo servizio ai cittadini, nell’essere medico c’era in lui lo spirito di chi non cessa mai di considerare la sua attività come una missione.
Le porte del Pronto Soccorso non erano totalmente sbarrate ai giornalisti: un accesso molto discreto, mai ingombrante, rispettoso dei feriti che venivano curati, insomma che non fosse di inciampo a medici e infermieri, veniva tollerato e mai ci sono stati problemi. Si entrava invece liberamente nell’ufficio del primario dottor Montoli, la porta era chiusa se c’erano ospiti: a volte, quando si riapriva magari dopo una lunga attesa ci si imbatteva in gente dimessa, a volte in vere personalità cittadine se non in grandi medici del nostro ospedale e del territorio. Perché tutti erano accolti con simpatia e a tutti il dottor Ermanno metteva a disposizione la sua esperienza di medico e umana.
Rivedevo in lui una persona che senza prediche o ammonimenti, ma con il solo silenzioso esempio indicava a noi giornalisti l’importanza della serenità nel lavoro, l’attenzione alla famiglia, alla città. I valori del mio direttore Mario Lodi erano quelli del dottor Montoli e durante la mia lunga attività li avrei riscontrati anche in numerosi altri cittadini appartenenti a diverse classi sociali. Varese non ha mai vantato o recuperato storiche nobiltà, ma ha avuto questa, interclassista, silenziosa, impegnata senza soste nel combattere la buona battaglia, a vivere la cultura del rispetto e l’amore del prossimo.
Per qualsiasi medico ci sono battaglie per la vita dei pazienti vinte e perse, ma si lasciano in ogni caso esempi mirabili e ricordi pieni di gratitudine quando nella professione si dà spazio all’umanità, si comprende e si lenisce la sofferenza degli animi, si dà sollievo, conforto, o si induce a riflettere su una rassegnazione accettata che va accettata o su una speranza piccola ma non ingannatrice. Così era il medico Montoli verso tutti coloro che gli chiedevano aiuto. La sua attenzione agli ultimi la riscontravamo anche nelle disposizioni che sussurrava ai collaboratori quando l’inverno mordeva: potevano accogliere nella notte gli “ultimi”. Accadeva così a volte di incontrare seduti, al caldo, intenti a bere un tè o un caffè, noti, piccoli protagonisti della modesta Varese di notte, che poi sarebbero spariti per mesi, sino al prossimo inverno.
La cultura del lavoro, dell’accoglienza ai tempi di Ermanno Montoli non erano ghigliottinate come lo sono oggi da regole restrittive confezionate da dannosi riformisti della sanità che hanno ridotto ai minimi termini il Circolo e messo in crisi a lungo il Pronto Soccorso. Oggi sembrano da record visite, interventi e ricoveri ben lontani invece dai numeri considerati normali in passato, cioè 300-350 al giorno. Allora non c’era la quota di stranieri che chiedono oggi assistenza, ma non c’era nemmeno la barellaia.
È un sistema sanitario mutato, diceva il dottor Montoli e teneva lontane le polemiche dall’ospedale che tanto aveva amato e servito. Impotenti e un tantino bugiardi i burocrati e i politici davanti alla frana assistenziale che avevano provocato, arrivarono a dire che il Pronto Soccorso era assediato per colpa del dottor Montoli che ne aveva fatto un grande e attrattivo centro assistenziale. Nel sostenere teorie sballate questa buona gente si era dimenticata che alle spalle del Pronto Soccorso c’era un ospedale che non dirottava ammalati a Tradate o altrove ed aveva un posto letto per tutti coloro che non dovevano emigrare o attendere a lungo per tutelare la loro salute.
La politica ha rimediato agli errori consacrando grande lombardo Ermanno Montoli con la Rosa Camuna. E un riconoscimento Palazzo Estense lo ha attribuito, assegnando a lui la Martinella del Broletto e dedicando una sala comunale al fratello Aldo, degno di memoria per la sua indimenticabile trasparente attività di assessore.
I Montoli, una famiglia che ha dato moltissimo alla città e che sarà ricordata per generazioni.
Oggi il dottor Ermanno è nel tempo senza fine dove avrà ritrovato la mamma che perse giovanissimo e Caty e Maria, la figlia che morendo giovane lasciò tre bimbe e la moglie, scomparsa nel settembre scorso.
È ancora più terribile il dolore dei medici impotenti davanti alla morte, agli agguati del destino ai loro cari. Ermanno Montoli nel tempo della malattia ha avuto vicinissimo il figlio Carlo: da medici non potevano raccontarsi bugie.
Papà Montoli aveva 88 anni, il distacco sarebbe stato più sereno se dolori inaccettabili non avessero infierito sulla famiglia, su un uomo che la guidava con amore infinito.
Un amore che continuerà alimentato dagli eredi e supportato da una grande riconoscenza che essa pure andrà oltre la morte. Quella della città.
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