Un Paese, dove il capo del governo ed il presidente emerito della repubblica insieme invitano i cittadini a far fallire la più bella espressione di democrazia diretta, come il referendum, sicuramente ha degli ordinamenti civici in stato cachettico. Se poi avviene che, in tale circostanza, il presidente della repubblica in carica si rechi alle urne di sera, anziché al mattino (com’è consuetudine degli inquilini del Quirinale), svuotando così di ogni contenuto spronante il suo atto, allora in tale Paese la democrazia, oltre ad essere malmessa ha anche smarrito il senso dei ruoli istituzionali. Ma forse più che malmessa la nostra democrazia è in una totale confusione, il che lungi dal migliorarlo peggiora il quadro clinico generale. Dove, però, la confusione irrompe con tutta la sua devastante potenza è nelle città e nei paesi, durante i mesi che precedono le elezioni amministrative, in ragione del fatto che nelle piccole comunità a talune scelte politiche non sono estranee faide cittadine e feroci contrasti nell’ambito anche di uno stesso partito.
Come i lettori di RMFonline ricorderanno, qualche mese fa ci occupammo delle manovre preelettorali a Busto Arsizio e a Gallarate rimarcando, in quella circostanza, l’assenza di un passabile programma politico e amministrativo, in tutti i partiti e movimenti in lizza. Ora che siamo giunti a trenta giorni dalle elezioni è cambiato qualcosa? In verità non pare proprio, anzi.
Prendiamo ad esempio una città come Gallarate, 53.000 abitanti e con poco più di 38.000 iscritti a votare nelle le prossime amministrative che, tuttavia, vanta ben dieci gruppi politici dai nomi anche piuttosto esoterici. Essi sono – se, nel frattempo che scriviamo, non ne nascono altri – Libertà per Gallarate, Progetto Comune, Gallarate Onesta (ma un po’ estremista visto l’intruppamento di Forza Nuova), La nostra Gallarate 9.9, Gallarate Civica, Attivisti Gallarate 5 Stelle, Gallarate in Movimento, Città è Vita (PD + Sel), Borgo Sindaco e Gallarate Futura che al seguito dell’avvocato Pietro Romano è appena uscita da Gallarate Civica, il cui nucleo originario continua a rimanere agglomerato intorno a Gianni Sparacia. In pochi giorni, peraltro, Romano e gli altri fuoriusciti sono riusciti a mettere insieme un programma di sei pagine che, poi, hanno presentato la sera del 4 maggio presso la “Cafferia” di Gallarate. Bisogna dire che nel mare magnum d’insussistenza progettuale che caratterizza questa campagna elettorale un programma di sei pagine è perlomeno fuori dal comune.
Ovviamente il continuo assemblaggio/disassemblaggio di gruppi e partiti non è immune da bassezze, risentimenti e perfino da minacce di adire il tribunale: figuriamoci con quale stomaco il paziente elettore gallaratese si recherà alle urne il prossimo 5 giugno. Dubitiamo, pertanto, che stavolta gli elettori si recheranno a votare in modo massiccio, come accadeva un tempo, perché quando s’incoraggia la mala bestia dell’assenteismo elettorale bisogna mettere in conto che il cittadino possa anche prenderci un perverso gusto a non voler più esercitare il diritto di voto.
In mancanza di programmi, la maggior parte dei gruppi e fazioni politiche gallaratesi vogliono il voto dei cittadini oggi, per decidere domani che cosa, eventualmente, farne. Noi, però, per la definizione di programma, e cioè quel percorso da farsi per conseguire un determinato obiettivo politico, continuiamo a rifarci ai padri latini, per i quali “programma” significava semplicemente scrivere prima, cioè dire prima del voto come s’intendesse amministrare la cosa pubblica una volta eletti. E, invece, tra coloro che a Gallarate vorrebbero subentrare alla guida del Comune è tutto un fiorire di proponimenti e buone intenzioni da letterina di Natale, stilati peraltro sul filo di un’incomprensibile raccomandazione: «Dobbiamo evitare polemiche con l’Amministrazione uscente». Questa inverosimile raccomandazione, chi scrive ha potuto personalmente annotarla in due occasioni: nel corso della prima uscita del gruppo originante de La nostra Gallarate 9.9, nel settembre del 2015, e all’atto della presentazione dei candidati della lista di Gianni Sparacia, il 19 aprile scorso.
Noi che scriviamo non siamo dei politologi, perciò ci sono ignote le dinamiche di talune strategie elettorali e, purtuttavia, una domanda vorremmo lo stesso porla agli auto castratori ed aspiranti amministratori gallaratesi: «Se l’operato dell’Amministrazione uscente è stato tale da non prestarsi a polemiche e/o a contestazioni di sorta, forse è perché ha fatto bene negli ultimi cinque anni. E se ha fatto bene, perché i gallaratesi non dovrebbero riconfermare loro e scegliere, invece, voi?». Va a finire che Guenzani e Romano dovranno attaccarsi da soli per fare un po’ di sana polemica, se vorranno ravvivare la campagna elettorale. Oddio, non che il Centrosinistra gallaratese abbia un grande programma ma, con avversari così combinati, ha molte ragione per non preoccuparsene. Gli è bastato, infatti, dare una spolveratina ai cinque punti programmatici del 2011 riguardanti il territorio, l’ambiente, la partecipazione, la cultura e i servizi sociali, ed aggiungervi qualche extracomunitario di contorno che fa sempre molto chic, alcuni giovani appassionati e tanta retorica buonista capace di far breccia in molti cuori ciellini. Ma quelli di Guenzani e di Romano, che non senza perplessità chiamiamo “programmi”, fanno pur sempre la figura di un’enciclica papale al cospetto del litigioso vuoto che c’è dall’altra parte.
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