Dopo una lunga fase di ascolto dei cittadini, dei rioni, dell’associazionismo, si scorgono i primi programmi amministrativi. Devo dire che sono soddisfatto del lavoro che il centrosinistra, nelle sue diverse versioni, ha fatto per provocare e accogliere la partecipazione nelle città che conosco di più: Varese, Milano, Busto, Gallarate. Il risultato è stato la nascita di coalizioni ampie, rappresentative di mondi anche lontani dalla politica tradizionale ai quali va riconosciuta la propria identità.
A Varese la presentazione del programma di Davide Galimberti è avvenuta in una bella cornice di pubblico (moltissime le facce nuove) che ha evidenziato le potenzialità della coalizione. Il candidato sindaco lo ha messo bene in rilievo sottolineando più di una volta l’apporto di Daniele Zanzi (Varese 2.0) e ringraziando sentitamente il Pd, Dino De Simone (Progetto Concittadino), le persone entrate nella sua lista. Tutelare questa peculiarità e compattezza è il compito primario del leader. Necessario mantenere l’entusiasmo, ma l’ottimismo non diventi mai sottovalutazione dell’avversario e la doverosa e aspra critica all’amministrazione uscente non dipinga un quadro troppo nero di Varese nel quale molti cittadini non si riconoscerebbero.
Il fattore decisivo dei programmi amministrativi è sempre la chiara visione della città fra 10 o 20 anni. Essenziale è sfruttare pienamente le occasioni finanziarie offerte dal governo centrale e dalla Regione e rinunciare alla tentazione di amministrare giorno per giorno. Solo con una buona progettualità, i mezzi economici, sempre al di sotto dei bisogni e delle aspettative, vengono finalizzati agli obiettivi chiave di medio e lungo termine.
Rivitalizzare Varese (ed altre città) significa ripudiare i lasciti leghisti “piccolo è bello” e “padroni a casa nostra”, che hanno marginalizzato molte risorse umane e ambientali di cui Varese è ricca. Al contrario la qualità urbana di questa città dipende più che mai dalle sinergie che realizza con un’ampia area circostante. Questo è vero per la circolazione, il traffico, la connessione fra mezzi pubblici e privati, i percorsi ciclabili e pedonali. Ma è vero anche per riorganizzare le aree produttive, per il recupero delle fabbriche dismesse (molte nelle periferie), per creare l’ambiente adatto a creare lavoro e occupazione.
Non è assolutamente vero che Varese, perdendo lo status di capoluogo di provincia, vedrà sminuito il suo ruolo se non per alcune strutture burocratiche che peraltro non hanno mai offerto la dinamicità occupazionale che i giovani ricercano. In un futuro senza province, e con degli enti intermedi fra Comuni e Regione molto vasti (i cosiddetti Cantoni), diventa indispensabile un forte protagonismo sociale, culturale, amministrativo della città più importante a cominciare da una variante immediata del piano urbanistico che sappia dare il segno della svolta.
Senza entrare nel merito tecnico, insisto nel ribadire che la città deve pensare alla regolazione e allo sviluppo coerente di una realtà urbana che già oggi si allarga molto al di fuori dei suoi confini amministrativi. Senza questo tipo d’integrazione territoriale non si realizza quell’inclusione sociale che è stata la parola d’ordine delle città che hanno visto aumentare (non diminuire come Varese) abitanti, attività produttive e giovani residenti. Questa consapevolezza è ormai condivisa dal territorio che ne è coinvolto.
A questo proposito emerge, ancora di più, la necessità di un sindaco che non sia un semplice seppur bravo amministratore ma il leader di una comunità vasta che richiede punti di riferimento solidi e credibili.
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