Il re, anzi l’ex re, Farouk I d’Egitto, in esilio, defenestrato dal colpo di stato militare dell’estate del ’52, allungò i piedi su un tavolino, quasi sdraiato sul ponte di uno yacht ormeggiato a Montecarlo, e stringendo un Martini tra le mani disse: A breve gli unici re che rimarranno in circolazione saranno soltanto quelli del mazzo di carte: di cuori, di quadri, di fiori e di picche… E diceva ciò a sei, sette mesi dall’ascesa al trono di Elisabetta d’Inghilterra. Dopo la morte del padre Giorgio VI, Elisabetta era divenuta regina a ventisei anni non ancora compiuti.
Inutile dire – basta fare scorrere i giornali di questi giorni, quando Elisabetta ha appena festeggiato i novant’anni – che la profezia di Farouk, re d’Egitto, buttata là magari anche per interesse personale, non s’è per nulla avverata. Elisabetta è rimasta saldamente sul trono. Com’è vero – ha scritto il Corriere della Sera – “la regina spegne la novantesima candelina di una vita trascorsa fra guerre, crisi, ricchezze, dispiaceri, splendori…”. Ma anche amatissima dai suoi “sudditi”, che poi non lo sono affatto e che hanno sempre visto in lei la Grande Signora, prima la sorella e poi la mamma, la nonna e la bisnonna… Una figura che oggi va oltre il rispetto, la tradizione, il senso dello stato e della nazione, che sono poi i cardini su cui si regge la monarchia inglese.
Non è un caso, osservò anni fa un importante uomo politico inglese, primo ministro dal 1908 al 1916 – Herbert Henry Asquith –, che solo le regine, in Inghilterra, abbiano avuto il diritto di dare il loro nome a un periodo storico. I termini Jacobean, riferito al regno di Giacomo I, e Georgian, riferito ai regni di Giorgio I, II e III, indicano per esempio solo lo stile architettonico e quello del mobilio. Mentre abbiamo una “era elisabettiana”, quella di Elisabetta I, per esempio, una “era della regina Anna” e naturalmente una “era vittoriana”, riferita al lungo regno – e all’impero – della regina Vittoria, durato dal 1837 al 1901, record di lunga durata, oltre che di vita, ormai superato, già da sette mesi da Elisabetta II.
Difficile dire – anche se di sicuro gli storici potranno e vorranno coniare la “era elisabettiana II” – in che cosa si caratterizzerà principalmente la sua presenza sul trono del Regno Unito di ben più di mezzo secolo. Del resto, anche per la regina Vittoria, nonostante l’epoca nel suo complesso fosse ben diversa dall’attuale, ci si trova a suddividere il periodo in fasi diverse, dalla riforma elettorale del 1832 fino al culmine dell’espansione imperialistica e poi alla sua fine, alla guerra contro i boeri, alla nascita del partito laburista negli ultimi anni del XIX secolo.
Possiamo anticipare e con buona possibilità di non essere smentiti dai fatti, com’è stato per la profezia di Farouk, che Elisabetta II non passerà alla storia per i suoi cappellini, talvolta assurdi, o per la sua passione per i cavalli e per i cani da caccia. E nemmeno per certe beghe di palazzo. Sono questi gli aspetti più mediatici della sua vicenda politico-istituzionale che non attengono alla storia ma al gossip e al circo mediatico, di cui tutti si è avidi.
C’è nel lungo regno di Elisabetta II soprattutto il segno di una presenza, di una continuità e – da parte del popolo – anche il segno di una fedeltà e dell’orgoglio dell’“essere inglesi”. Sono segni che trascendono la vita politica. Spesso capita di dimenticarsene quando si mettono a confronto due sistemi istituzionali, la monarchia e la repubblica, che non sono, l’uno e l’altro, antitetici né al progresso di un paese né alla democrazia.
Lo dimostrano la storia e la realtà. E ciò maggiormente ci stupisce quando talvolta – in Italia per esempio – si fa riferimento alle cosiddette “quote rosa” quasi per rimarcare, ma è un artifizio a ben vedere, di attribuire chance e qualità a una donna, come se le donne dovessero sentirsi dire che sono uguali agli uomini. Le donne sono meglio. Elisabetta II, all’età di novant’anni battuti, è lì a dimostrarlo. Ma non solo lei: pensiamo nel passato al suo primo ministro Margaret Thatcher, che era solo di un anno più anziana – due donne alla guida dell’Inghilterra, e che donne –; pensiamo oggi anche alla signora Angela Merkel; pensiamo a Hillary Clitnon, possibile candidata a reggere le sorti di un paese ancora dominatore nel mondo. Altro che quote rosa.
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