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Opinioni

DEMOCRAZIA IMMATURA

EDOARDO ZIN - 22/04/2016

Non hanno vinto i “sì, ma non hanno vinto neanche i “no”. Ha vinto la scarsa partecipazione al “referendum” di domenica scorsa. Hanno vinto coloro che dicono o pensano “non c’è niente da fare”, “non ne vale la pena”, cioè coloro che si astengono o perché rassegnati o perché hanno seguito l’invito dei soliti capipopolo o perché – e ciò è più nobile – non sono stati capaci di scegliere fra due opzioni perché è mancata la corretta informazione.

Al figlio laureato, ma recalcitrante ad andare a votare, ho sentito una madre controbattere: “Io, al contrario di te, vado a votare perché per concedermi questo diritto sono morti migliaia di italiani!”. Una bella lezione impartita da una donna semplice ad un figlio sempliciotto. Mi sono sovvenuto delle parole di un grande politologo inglese che affermava che l’ora del legista e l’ora del politico servono a poco senza l’ora del cittadino.

Ha perso la democrazia rappresentativa, cioè il parlamento, incapace di legiferare su un aspetto così delicato e specialistico: speriamo che non sia incorsa in questo peccato di omissione solo per permettere privilegi alla solita clientela che chiede al legislatore espedienti moralmente intollerabili.

Ha perso la democrazia partecipativa e l’esito del referendum ha lasciato un senso di impotenza a quanti – pochi, in realtà – hanno con passione e vigore morale sostenuto la ragione del “sì” o del “no”, lontani da ogni ideologia o demagogia. Costoro meritano rispetto.

Senza ideali e sogni la democrazia non sarà mai compiuta.

Ha perso la partecipazione. In un momento in cui molti chiedono una maggiore rappresentatività del cittadino, in cui si esige che gli eletti ascoltino gli elettori, l’adesione è venuta a mancare. Alcuni l’hanno fatto per protesta, ma se questo pur legittimo atto non viene accompagnato da una presenza e da una responsabilità si rischia di affidarci all’ “uomo forte”. Che cosa resta dopo la protesta, se non il vuoto che rende ancor più inefficace la protesta e la condanna a vivere nella mediocrità? La non partecipazione è il primo atto per smantellare la democrazia.

Ha perso la politica che designa le azioni più nobili e ammirevoli, che dovrebbe essere una forma di dedizione, ma che rimanda oggi anche a immagini di corruzione e di fallimento. Non ho sentito un solo politico spiegare con mitezza e pacatezza le sue ragioni. Tutti hanno preferito lavarsi le mani invitando con eccessiva superficialità o ad astenersi o a recarsi ai seggi. Forse l’hanno fatto per insipienza. Alcuni hanno banalizzato con slogans volgari e violenti un diritto – dovere sancito dalla Costituzione pur di compiacere alla loro fazione, dimostrando ancora una volta di più che politici, e quindi educatori e modelli da seguire, sono in realtà dei seduttori che usano parole e gesti come strumenti di potere.

Ha perso la Costituzione oltraggiata non solo nell’articolo 48 (“Il voto è un dovere civico”), ma anche non perseguendo il dettame dell’articolo 114 (“Regioni e Stato esercitano le loro funzioni secondo i principi di leale collaborazione”), creando di fatto un conflitto tra lo Stato e le Regioni che avevano promosso il referendum.

Ha perso il giovane presidente del Consiglio, che, invitando gli italiani all’astensione, ha visto che un elettore su tre non la pensa come lui. Ma soprattutto ha perso in dignità: come fa un capo di un esecutivo acuire ancor di più il conflitto, che non rende di certo possibile la convivenza civile, dichiarare, a urne chiuse, che “hanno vinto gli operai e gli ingegneri e ha perso la demagogia”? Non ha imparato il giovane fiorentino dal suo maestro Giorgio La Pira che la politica deve rendere possibile la pacificazione? Non sa che la democrazia esige che l’avversario sia considerato con rispetto? Non ha ancora esperimentato che le parole pronunciate sotto forma di slogans o di slide o ridotte a battute sono banali perché non esprimono idee e possono in qualsiasi momento essere smentite, negate, ritrattate da chi le ha espresse e ciò rende irresponsabile un politico? Quando un politico diventa arrogante, la logica viene sovvertita.

Ha vinto, in ultima analisi, solo la disinformazione, soprattutto televisiva. Il rigore della verità scientifica posta dal quesito referendario richiedeva dibattiti tra esperti del settore che esponessero le ragioni del “pro” e del “contro”. Invece abbiamo assistito a talk show (=spettacoli) in cui i protagonisti si scagliavano tra di loro insulti, menzogne, s’interrompevano. Mai come in questo momento la democrazia per maturare ha bisogno di una dialettica meno aspra e di risposte a ciò che l’interlocutore riconosce di sapere egli stesso.

Il 5 giugno prossimo i cittadini di Varese e di Busto Arsizio saranno chiamati a votare per scegliere il loro sindaco. Tutti gli italiani in autunno dovranno esprimersi su un referendum confermativo della riforma costituzionale. Vorremmo che partiti, sindacati, associazioni, scuola, società civile s’impegnassero non a informare, ma a formare (dare, cioè, “una forma” al pensiero), non a indottrinare, ma a educare con il rigore della verità, alternando il parlare

con l’ascoltare, il riflettere e l’agire, con responsabilità.

Il poeta Ezra Pound (l’intellettuale assunto a mito da tanti giovani neo-fascisti, che magari non hanno mai letto un suo libro!) ha scritto: “Con la falsificazione della parola ogni altra cosa viene tradita”. È un invito ai nostri politici a parlare con franchezza e agli elettori a pensare perché ogni volontà dittatoriale inizia con l’uccisione del pensiero.

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