È stato il premier Matteo Renzi a vincere il referendum-ordalìa sulle trivelle (referendum e trivelle, diciamo così per semplificare) oppure a vincerlo sono stati gli italiani astensionisti che, ragionevolmente o no, se ne sono rimasti a casa? Bella domanda.
Dicevamo che l’esito del referendum avrebbe avuto, anche se di riflesso, e anche se poco, qualche conseguenza per le realtà locali. Proviamo a individuarla. Il fronte del Sì, cioè del No alle trivelle (ma non era nemmeno così, a ben vedere), era rappresentato da uno schieramento politico trasversale che coagulava attorno a sé (stiamo agli inviti dei leader politici) parti diverse: l’estrema sinistra, probabilmente parte della sinistra del Pd, buona parte della destra, la Lega…
Al No appartenevano gli altri, anche qui compositi ma ben più identificabili, diciamo in linea di massima i centro-moderati, compresi il giovane presidente del consiglio e, guarda un po’, un anziano ex-presidente della Repubblica (qualcuno ha detto che avrebbero fatto meglio a stare zitti, e forse è vero, anche se poi – tecnicamente –, visto come sono andate le cose, hanno vinto la consultazione).
Ma davvero, e rientriamo nella nostra realtà, è andata così? Davvero gli elettori varesini, o lombardi, per esempio hanno preferito l’invito del premier Renzi piuttosto di quello di Salvini o non hanno invece ragionato pragmaticamente, sostenendo che, in una questione referendaria tutto sommato complessa, ma anche insignificante e irrilevante dal punto di vista del contenuto, era meglio astenersi facendo fallire la consultazione stessa? Ed era meglio sfruttare a proprio vantaggio – legittimamente per altro com’è stato descritto da illustri giuristi – la presenza dei “soliti” assenteisti?
Se fosse vera la prima ipotesi si potrebbe pensare, proiettando questo comportamento verso le prossime imminenti amministrative, che certi diktat leghisti non hanno più presa, e che c’è, anche qui nel profondo Nord, un cambiamento di tendenza politica.
Ma siamo più portati a pensare che la valutazione del tema nei suoi reali contenuti, la concretezza – se volete il pragmatismo, appunto – degli elettori, e non l’assuefazione, una loro quasi becera connotazione imputata dai soliti esperti e moralisti, abbiano infine prevalso. A parte i consigli, ricevuti e messi da parte.
Ed è questo genere di valutazione che, speriamo, prevarrà tra un mese e mezzo, quando andremo a rinnovare le compagini amministrative delle nostre città (Varese compresa); speriamo che gli appelli, gli abbracci di rito, le spedizioni dal centro politico alle periferie, i trucchi della prestidigitazione politica non producano significativi risultati di voto. Ma soltanto invitino all’esame di quello che è stato fatto, tanto o poco; e l’analisi di quello che si sarebbe voluto fare magari a colpi di dinamite vicino alle chiese…
Speriamo che il cittadino voti con scienza e coscienza, come si dice, leggendo i programmi (non le solite generiche sparate poi sempre disattese) e impegnandosi – e impegnando – nel fare sì che le idee e le promesse vengano poi rispettate.
Se la conseguenza del “referendum sulle trivelle” sarà questa – una scelta ben motivata di un nostro rinnovato futuro – ne saremo ben lieti. Da parte sua Matteo Renzi avrà altre occasioni su cui cimentarsi, ben più importanti di questo referendum già messo in archivio. E anche più decisive della consultazione amministrativa prossima e ventura che, stavolta, potrebbe più riguardare la sua di politica che la nostra, della nostra piccola città, s’intende. In autunno, dopo le doverose vacanze…, l’occhio sarà decisamente puntato sulla riforma costituzionale. Su un cambiamento radicale delle regole che ci potrebbe condurre a una reale definizione di “seconda Repubblica”, anche lessicale; una nascita davvero sancita dalla Carta, e non dalle chiacchiere, dalle idee, dai pronunciamenti.
Ed è anche qui che, ci si augura, dovranno prevalere le scelte concrete. Fatte salve le speranze.
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