In base a rigorose disposizioni date dal governo alle regioni per riequilibrare l’enorme spesa nazionale per la sanità, Milano ha eseguito un ordine di rara antipatia perché colpisce comunità e famiglie che hanno una lunga storia di fiducia e rispetto per i loro pubblici “punti nascita”, i luoghi delle maternità tradizionali. Aboliti e accorpati ad altri ospedali quelli che non “producono” almeno 500 parti all’anno.
Alla base della decisione criteri aziendalistici, cioè pure valutazioni economiche in ordine alla gestione, un calcio alla lunga catena di affetti e sentimenti che da anni e anni legava la comunità al reparto ospedaliero. Angera è finita nel cieco tritacarne governativo della maternità che ha colpito in tutta Italia, dove però ci sono state reazioni anche ben diverse. Avendo la regione emiliana tentato di applicare alla lettera l’ordine ministeriale a tutta la zona appenninica, si è trovata di fronte alla clamorosa ribellione di sacre istituzioni democratiche come l’intero pianeta delle cooperative – una vera potenza economica e politica – che ha trascinato con sé altre realtà del lavoro e sociali, a conferma di una generale sensibilità culturale e democratica di gente che ha fatto della partecipazione attiva alla vita pubblica un obiettivo irrinunciabile.
A Reggio Emilia i rappresentanti della regione sono ancora in difficoltà, la politica rischia infatti di pagare a caro prezzo una norma che per difficoltà ambientali e logistiche di attuazione può effettivamente avere risvolti pericolosi per la salute di future mamme che già oggi per raggiungere il loro punto nascita devono farsi magari un’ora e mezzo di auto, in .montagna.
Angera ha levato con dignità e speranza la sua voce, la notizia di questo SOS non ha fatto molta strada – non sono pochi i punti deboli della sanità nella nostra provincia – solo Roberto Maroni, che viste le negatività gestionali attribuite dalla magistratura milanese a suoi collaboratori azzurri e leghisti, si è fatto carico della sanità regionale, ed esaminerà personalmente il problema di Angera.
Anche questa piccola vicenda ha comunque un significato se valutata nel quadro di una sanità in movimento per alleggerire i suoi bilanci nazionali e regionali. Di questi tempi è sicuramente un guaio finire nel mirino dei micragnosi contabili degli apparati centrali e delle aziende ospedaliere locali , in particolare nella nostra provincia dove storicamente si è ben lontani per esempio dal senso di appartenenza della gente reggiana che coltiva semmai campanilismi, molto accentuati, di lunghissima tradizione e ben ricambiati, ma verso altre città e province.
Il Varesotto è un vero campionario di diversità, di divisioni che hanno a monte campanilismi dovuti a fattori anche etnici, a situazioni, tradizioni, cultura e sensibilità sociale di diversa interpretazione, di interessi e orizzonti che collidono e possono non giovare, se non addirittura fare danni.
La politica da sempre non ha lavorato per dare un’identità meglio definita alle nostre zone, una unità decisiva in termine di immagine e di concreta affermazione della nostra presenza e della nostra importanza in ambito nazionale. La politica ha coltivato queste divisioni per trarne i massimi vantaggi nell’immediato, così abbiamo visto affermarsi i potentati bianco azzurri – veri padroni del Varesotto – con capitale Busto Arsizio e la marea leghista a Varese, infine signorie varie nelle valli e nella zona del Verbano, dove si è piccoli ma di qualità.
Di queste divisioni ha tratto vantaggi politici chi a Milano contava di più, cioè aveva e ha rapporti proficui con quella lobby regionale che dalla roccaforte dell’asse Milano-Brescia controlla e comanda. Un asse che ha dato spazio all’avventura formigoniana, con pesanti ricadute sul nostro territorio per il saccheggio del nostro sistema sanitario.
La cura di sacri egoismi locali (ndr: va finalmente in controtendenza l’incontro tra i candidati sindaci di centrodestra, Antonelli a Palazzo Gilardoni e Orrigoni a Palazzo Estense, foriero di speranze costruttive per la comunità), di mondi piccoli e la mancata attenzione ai vantaggi di un’identità unica hanno fermato il volo di Varese, anche perché secondo attendibili ma appena sussurrati pareri di vecchi navigatori del centrodestra, il declino della nostra zona sarebbe in parte dovuto alla vendetta del Sud nei confronti di Varese che sconquassando la sua tradizione cattoliberale vent’anni fa fece la scelta leghista. Ci può stare anche una teoria del genere, resta il fatto che le frantumazioni dei politici, la coltivazione dei loro orti o poderi alla fine possono avere bloccato la nostra Varese che sembrava una astronave di successo e che in pochi anni già ricorda il traghetto per l’Isolino Virginia.
Cascano le braccia davanti a una politica così piccola che non sa leggere nemmeno il suo territorio, dove chi è intelligente per prima cosa impara subito a vincere. Come gli industriali che hanno puntato sull’ unione, sul lavoro assieme fatto nell’interesse di tutti. Oggi sono per importanza la terza forza in Italia nel loro importante settore e, con la attiva partecipazione dei dipendenti, tra le migliori espressioni del nostro territorio.
Se trapiantassimo i loro vertici a Palazzo Lombardia o a Palazzo Estense avremmo il massimo della concretezza nell’agire e nei risultati. E anche, guardando a Milano, il rispetto della democrazia.
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